Giampaolo
Trotta: "Nel suo notissimo
saggio..."
Dipingere
l'anima.
I ritratti di Rocco Micale
come sintesi/astrazioni delle menti poetiche
della nostra contemporaneità
"Sostano
finalmente
nella mia camera ombrosa,
si sovrappongono i volti,
sono confuse le voci,
al mio cauto richiamo
rispondono chiamando,
dal mio desiderio adunate
ripetono il loro apparire"
(Elio Pecora, Epifanie)
Nel suo notissimo Saggio
sopra la pittura, pubblicato a Venezia
nel 1784, Francesco Algarotti ricordava come
non basta che il pittore sappia
delineare le più scelte forme, rivestirle
de' più bei colori e bene comporle insieme,
[
]; conviene ancora che [
] scriva
in certo modo sulla faccia loro ciò che
pensano, ciò che sentono, che gli renda vivi
e parlanti. E là veramente si esalta la
pittura e diviene quasi maggiore di sé, dove
sa fare intendere assai più di quello che si
vede dipinto.
Il termine ritratto,come si
sa, deriva dal latino re-traho, che
si accomuna a pro-traho, da cui il
francese e linglese portrait.
Letteralmente significa ritirare, contrarre,
ma anche l'azione di tirar fuori,
di recuperare l'immagine interiore più
connotante ed autentica della persona, quasi
di portarla in vita con un atto procreativo
o, meglio, maieutico, di una levatrice. Già
Leonardo da Vinci, del resto, diceva che gli
occhi sono lo specchio dell'anima. La
possibilità di conoscere il carattere e la
psiche attraverso il ritratto, in età
moderna e contemporanea, ha coinvolto la
psicologia e la psicanalisi, ma rimane
fondamentale il suo legame con l'indagine
poetica della persona umana. Il ritratto,
infatti, al di là delle componenti
'scientifiche', quando è autentico e no puro
esercizio accademico, coglie l'anima in
maniera intuitiva e non solamente razionale,
proprio come la poesia.
Così, le opere del pittore
Rocco Micale sono mutevoli ed immaginifiche
per rappresentazione dei differenti poeti, ma
tutte unite dal comun denominatore di
sviscerare la complessità affascinante di
importanti letterati della nostra tormentata
contemporaneità. E gli occhi, da lui sempre
colti in un'acquosa trasparenza penetrante,
disvelano veramente pensieri e idealità
fatti scaturire dall'anima e divengono
'icone' delle parole scritte da quelle menti.
Quadri solo apparentemente
silenti: essi parlano
direttamente alla nostra mente e al nostro
cuore, cercano la matrice culturale interiore
dei vari personaggi nei quali riflettersi,
pensare, ricordare. Silenzi costruttivi, o,
meglio, poesie per immagini senza parole,
volti dati alle voci di cui si scompone il
silenzio e che espressamente omaggiano la
comunicazione verbale attraverso la
fisiognomica, fatta di pause meditate, di
riflessione senza clamore (quindi una pseudo
non-comunicazione). I suoi volti di poeti
s'illimpidiscono e s'illuminano proiettando
la luce delle loro galassie interiori su di
noi, modernissima, ma dalle radici antiche;
il velo che cela e divide le masse dei più
dalla poesia si squarcia, s'infrange come
fragile vetro. Parafrasando una poesia di
Elio Pecora (Alba), in essi
"traspare una luce remota, / s'alza, si
spande. / L'immenso velario dell'ombra /
s'invetra, si disfa".
Opere
intelletualisticamente e tecnicamente sempre
poetiche quelle di Micale, che ci immergono
in un mondo di cultura contemporanea della
quale i suoi quadri costituiscono una sorta
di imago, una summa picta
dalle motivazioni sofisticatamente
antiquarie e 'tradizionali' per
tecnica (disegno realista psicologico, degno
della più alta scuola otto-novecentesca), ma
dai contenuti estetico-formali sapientemente
postmoderni, per questo non in antitesi
conflittuale inconciliabile con le sue opere
digitali (come la serie sui Tarocchi),
ma in dialogo con esse attraverso lo stupore
semantico e semiotico dell'allusione
psicologico-simbolica. Ritratti, quindi, come
poesia dipinta, come un lungo ed intimo
colloquio tra la raffigurazione e la parola.
Percorsi dove pensieri e figure si
compenetrano e si perdono in una limpida
classicità. Un connubio, certo, non nuovo
tra la parola scritta ed il segno dipinto
(basti pensare alla Poesia Visiva nella
seconda metà del Novecento) o già
sperimentato nella vita da poeti-pittori come
Franco Manescalchi, ma in questo caso i
ritratti, delicati e forti ad un tempo, di
Rocco Micale hanno anche il merito di rendere
veicolabile al grande pubblico uno spaccato
significativo della produzione poetica
italiana contemporanea dagli Anni Settanta a
quelli Duemila, troppo spesso costretta entro
ambiti di nicchia, restituendole,
parallelamente, anche un'immagine visibile
mediante i ritratti dei suoi protagonisti.
Spesso chi 'reinventa' o interpreta il mondo
attraverso la poesia e trasforma le emozioni
umane in eterei versi, infatti, non beneficia
di un'immagine iconica intesa come 'volto'
individualizzante di riferimento cui
associare mentalmente la parola scritta.
Questa serrata serie di 'volti' segnati sulla
carta da Micale vuole compensare anche questa
mancanza, così che la carta medesima diviene
viatico della parola poetica e del 'ritratto'
esteriore/interiore di colui che quella
parola ha fatto sbocciare. Elio Pecora e
tutti gli altri poeti, così, divengono non
più astratti nomi di universi poetici, ma
anche coscienze dell'oggi fatti di carne, di
volti, di occhi, di vita, il cui pensiero si
transustanzia in parole e in immagini, nel
contempo universali e individualisticamente
connotate.
Tutto ciò filtrato da una
grande abilità tecnica, dal disegno e
dall'acquerello uniti alla gestualità
ispirata (proprio come una poesia quando è
autentica), da una colta riflessione ed
elaborazione interiore delle potenzialità
che tuttora i poeti 'veri' e non i
falsi profeti di un'attardata oleografia
autoreferenziale, decadente e del tutto
sterile hanno nel nostro mondo così
apparentemente inaridito in una tecnologia
totalizzante ed asfissiante.
Come i racconti di Ernest
Hemingway, i ritratti di Micale vanno 'letti'
perché raccontano la vita e nulla di più,
perché sono una sintesi estetico-mentale e
una metafora culturale della poesia della
vita e semplicemente
nullaltro.
[Giampaolo Trotta]
Progetto:
I volti e
le parole
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