Lo studiolo
Mediateca italiana
Chi visiterà la mostra potrà
prendere in omaggio o in prestito libri e riviste di
letteratura!
Orario di
apertura:
martedì:
17,00-19,30
mercoledì: 17,00-19,30
giovedì: 17,00-19,30.
Mercoledì
26/09 - chiuso
Altri giorni e orari su
prenotazione (contattare via e-mail).
Lo
studiolo di Campi: nel centro storico pedonale
di Campi Bisenzio, a 30 minuti da Firenze. Bus 30 da
S.Maria Novella, scendere in via Tintori (fermata
"Tintori" subito dopo la COOP) e camminare per
7-8 minuti fino a Piazza Fra Ristoro. Lì, al n.53 di via
S.Stefano, ci siamo noi.
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Emarginazioni
(per una
semantica dei colori)
Fotografie
- testi - video
Dal 15
settembre al 4 ottobre si tiene allo
Studiolo di Campi la mostra
"Emarginazioni", prima parte di una serie
di mostre autunnali originate da alcune riflessioni
sulla semantica dei colori [Presentazione].
La mostra propone 30
fotografie di artisti che offrono diversi approcci al
colore nella rappresentazione di ambienti,
situazioni, contesti urbani e suburbani.
Alessandra Cinquemani:
Obliqui (stampe fotografiche in
bianco e nero e a colori) Alessandra Cinquemani
riproduce frammenti sbiechi di cose popolate
di ombre, grate che geometrizzano il cielo,
scale e muri obliqui che rimandano alle
"carceri" di Piranesi, ma sono
prigioni aperte, in cui ci si sente schiavi
di uno spazio indifferente che suscita
agorafobie, prigionieri di un grigio, di una mediocritas
che trova riscatto soltanto nel rifiuto. Ecco
allora che lo scarto, l'immondizia, oggetti
buttati e calpestati risaltano dai loro
margini, dai loro nascondigli, presenza viva,
colorata e luminosa di un esistere
disordinato che, per il fatto stesso di
esserci, dà senso a tutto quel grigiume
ordinato.
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Gabriella Maleti:
Persone (stampe fotografiche a
colori) Gabriella Maleti offre
dettagli di umanità marginale, il lato nero
della città, persone che sono le sole a
poter sopravvivere in un contesto che accetta
ormai unicamente la ricchezza o la povertà
assoluta espellendo l'umanità di mezzo, la
gente comune, né povera né ricca, fuori dal
centro. Ma è un universo inconoscibile,
questa parte oscura, di cui possiamo
percepire dettagli, forme frammentarie,
episodi di inesplicabile presenza, senza
possibilità di coglierne i contorni
completi, l'interezza delle vicissitudini, il
sistema (che probabilmente non esiste). Ne
cogliamo solo l'irriducibile alterità in
un'acida policromia tendente al grigio che
risolve in modo ambiguo l'opposizione tra
presenza e assenza.
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Paolo Pettinari: Muri
(stampe fotografiche a colori su tela) Paolo Pettinari è
andato a riesplorare i luoghi del Rapimento
di Proserpina [*], dove la
marginalità produce senso, dove artisti
clandestini ricoprono muri di forme colorate,
scritte, grafismi. Da un argine sul fiume
Bisenzio ha colto dei ritagli di alcuni
murali lasciati lì da pittori misteriosi,
graffitari audaci nel manifestare e timorosi
nel manifestarsi. Pitture di genere, prodotti
ormai stereotipi e spesso ripetitivi,
rivelano tuttavia dettagli di sorprendente
bellezza nell'accostamento dei colori, una
sapienza cromatica che ha assimilato le
avanguardie del '900 e che trova solo in
territori nascosti e periferici la
possibilità di produrre senso.
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Non è raro che delle idee si
formino da impressioni e sensazioni che non hanno
alcuna conferma statistica o scientifica, eppure
queste idee possiedono un contenuto di verità che è
dato dal buon senso o, al contrario, dal paradosso,
dal nonsenso che ne sta alla base. L'arte ricorre
spesso a impressioni e sensazioni nelle sue
meccaniche comunicative e riesce a trasmettere
significati anche basandosi unicamente su queste
sottili, aleatorie, instabili sirene mentali. E'
proprio partendo da sensazioni che non hanno nulla di
statisticamente confermato che da qualche tempo mi
trovo a interrogarmi su come stanno evolvendo le
nostre città, non da sociologo, non da urbanista, ma
da persona che in una città ci cammina, ci lavora,
osserva le cose.
Le sensazioni di cui parlo
sono anzitutto impressioni visive: negli ultimi tempi
alcuni aspetti della nostra vita sociale hanno via
via perso colore, nel vero senso dell'espressione. Le
case dei centri storici vengono restaurate e i colori
dei muri riappaiono uniformati a un monocromo
giallastro che sembra una colata di crema. Lo stesso,
a dire il vero, succede ai casolari di campagna che
da ruderi coperti di vegetazione spesso si
trasformano in ville anch'esse ricoperte di crema
giallognola. Se entriamo in un grande magazzino
troviamo vestiti tutti uniformemente tendenti allo
scuro: marrone, grigio, nero, un incitamento alla
depressione spiegabile soltanto come memento mori
(invece di tenere un vecchio teschio sul comodino,
vestiamoci di grigio!). Anche le macchine, forse per
uniformarsi ai fumi che emettono, stanno diventando
tutte grigie, degli enormi toponi a quattro ruote
ingombranti, puzzolenti e malinconicamente borghesi.
Questa tendenza generalizzata
al monocromo nel macrocosmo dell'abitare, del
vestire, del muoversi, sembra poi contrastata da un
proliferare di bizzarrie cromatiche nel microcosmo
dei dettagli, degli accessori, delle decorazioni. E
allora i muri giallo-crema si ricoprono di scritte
rosse nere blu verdi, vengono aggrediti da manifesti,
biglietti, annunci; i corpi rivestiti di scuro si
tappezzano di tatuaggi, si trafiggono di anelli e
spilloni, si addobbano di accessori multicolori
(occhiali rossi, zainetti pastello, telefonini dai
riflessi cangianti); accanto alle auto grigie
sfrecciano moto e biciclette variopinte. E' come se
da una parte si accettasse come naturale questa
reductio ad unum, questa sorta di monoteismo
cromatico, e dall'altra si cercasse di contrastarne
gli effetti con un pulviscolo di interventi, tutta
una serie di azioni per bilanciare l'uniforme e il
conforme con qualche piccolo, generalmente innocuo,
spesso involontario brivido di anticonformismo.
Questo progressivo,
silenzioso diffondersi del monocromo non tocca
soltanto la nostra sensibilità estetica, ma si
insinua più a fondo, incide nell'inconscio delle
relazioni tra persona e persona, modifica la
percezione dell'altro, del diverso che, in un ambito
dominato da un solo colore, diventa immediatamente
riconoscibile. Si tratta di una identificazione
grossolana, semplicistica, grezza, un riconoscere per
esclusione, ma funziona. Una facciata blu in una
serie di facciate sui vari toni del giallo è un
elemento dissonante; una giacca rossa in mezzo a
giacche nere è una vistosa stravaganza; un'auto
gialla in un ingorgo di auto grigie avrà forse alla
guida una bizzarra signorina settantenne! In un mondo
veramente policromo tutto sarebbe normale, in un
mondo tendente al monocromo la differenza può
disturbare. Una semplificazione cromatica che
coinvolge anche la comunicazione pregiudicandone la
ricchezza di contenuti. Nella perdita di colore,
infatti, può nascondersi anche una perdita di senso,
poiché il significato si produce nella differenza,
nelle opposizioni: se le differenze diminuiscono,
anche i significati, i contenuti diventano più
poveri.
Forse le nostre società
postmoderne, postindustriali, postatomiche si stanno
evolvendo verso una progressiva emarginazione di
tutto ciò che è plurale, tollerando al massimo il
duale? Si tratta probabilmente di una uggiosa
preoccupazione d'artista, tuttavia nella società
urbana contemporanea sono molti i sintomi di un
ritorno dell'intolleranza verso le culture diverse e
addirittura di uno scontro di civiltà (che è in
fondo un ossimoro, perché le civiltà possono solo
incontrarsi e confrontarsi; a scontrarsi sono le
inciviltà).
Per quanto concerne la
comunicazione visiva, è sintomatico che nel
descrivere la realtà profonda delle nostre città,
la loro anima, uno dei mezzi più perspicui e potenti
sia la fotografia in bianco e nero. La sentiamo più
vera, più reale nella sua semplificazione
monocromatica perché vi ritroviamo un modello del
nostro manicheismo sociale, un'allegoria della città
contemporanea dove o si è in un certo modo o si è
espulsi verso le periferie, i margini, i confini
nebulosi. Accanto al bianconero possiamo mettere
anche quelle immagini di situazioni o ambientazioni
urbane dove il colore è appena accennato, il tono
cromatico appare uniforme pur nelle variazioni di
gamma, concedendo tuttalpiù qualche piccola macchia
contrastante a far risaltare la sostanziale
monocromia del contesto. In questo limbo di
non-colori si viene accettati, ma quasi cancellati,
resi fantasmi. Fuori da tutto ciò, invece, nei
suburbi dove la contemporaneità trasforma e uccide,
ma anche genera ed accoglie, riesplode il colore nei
luoghi più impensati e degradati, con l'intervento
di anonimi artisti clandestini armati di bombolette
di vernice. Sottopassaggi, recinti di ferrovie,
argini di fiumi si ricoprono spesso di testi
figurativi oscuri nel contenuto, ma
straordinariamente luminosi nella felicità cromatica
della loro effimera apparenza.
Spinto da questi ed altri
confusi ragionamenti, sillogismi senza logica,
causalità fondate sull'argilla, ho domandato ad
alcuni artisti di aiutarmi a trovare conferme o
smentite attraverso i loro occhi, fornendo materiali,
prestando le loro riflessioni estetiche ed
esistenziali. E' nata così la mostra
"Emarginazioni", che si propone di dare un
primo contributo alle tematiche esposte sopra
attraverso alcune opere di tre artisti già noti ai
frequentatori dello Studiolo di Campi: Alessandra
Cinquemani, Gabriella Maleti e il sottoscritto Paolo
Pettinari.
L'idea che sta dietro le
trenta immagini fotografiche esposte è insomma
questa: se la città, il centro del nostro vivere
sociale tende al monocromo e toglie sempre più
spazio alla varietà cromatica; i margini e la
periferia lasciano ancora spazi alla policromia, alle
differenze, ai contrasti e ai confronti estetici.
Parallelamente le città si fanno sempre più
emarginanti, tendono a espellere o a creare
partizioni, ghetti; mentre le periferie diventano
sempre più luogo di accoglienza, di rifugio, di
confronto e di contrasto sociale. L'arte può farci
rilevare questa opposizione anche attraverso l'uso
semantico del colore, partendo proprio dal fatto che
il colore può esserci e non esserci e, alla radice,
può funzionare come un sistema binario cibernetico:
zero - uno. Così, monocromia e policromia producono
senso, comunicano dei contenuti che non sono fissi ma
dipendono di volta in volta dal contesto in cui si
manifestano.
[Paolo Pettinari]
Nota.
Le riflessioni che precedono prendono lo spunto da un
articolo pubblicato su "L'area di Broca",
82-83, 2005-2006 [vedi].
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