Roberto R.
Corsi: "Ricordando Wilde, ma..."
1. Che funzione
ha la poesia? A cosa serve?
Ricordando Wilde, ma
anche Nelo Risi, la poesia, come e più
dellarte, è "inutile",
marginalizzata: il poeta ha perso ogni
carisma e funzione collettiva, ed è
giocoforza relegato al dilettantismo (quindi
impoverito anche nelle sue potenzialità),
visto che di poesia tout court non si
campa. È rimasta alla poesia la capacità di
essere, per i pochi che la leggono e -
soprattutto, forse - per i molti che la
scrivono, occasione di accrescimento
sapienziale, empatico; esercizio certamente
terapeutico; in casi rarissimi, autentico
legame interpersonale.
2. Come è
cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?
Non avendo compiuto
un percorso universitario letterario, ho
conosciuto molti Autori con ritardo. Sto con
chi vede una caratteristica delloggi
nella rarefazione del numero di «maestri
naturali» (cit. G. Panella) vivi e attivi.
Forse addirittura in una reductio ad unum:
si è osservato (Galaverni su La lettura)
come Milo De Angelis abbia «influenzato
trentanni di poesia» e, leggendo molte
proposte di esordienti e non, questo influsso
è tangibile, talora diventando imitazione.
In realtà il panorama
correntizio della poesia di oggi
è ancora caleidoscopico, sia sul piano del
dibattito che della espressione, con
differenti posizionamenti sui vari gradini
della scala che va dall'io poetante all'altro
da sé; però molta parte del movimento
scorre come fiume carsico, dunque per venirne
a conoscenza si richiede una certa
infarinatura nella rabdomanzia
mediatica. Peraltro l'esordiente si
forma in primis come lettore, o almeno
si spera, e qui vengono le dolenti note:
presso il lettore sembra aver fortuna solo
una poesia "vivente" anche
talentuosa, ma sempre di impianto molto
consolatorio; basata su un ubiquo e
anestetizzato richiamo alla
Bellezza e su una spiritualità
quasi new age o religiosità
spicciola; poesia spesso aforistica,
salottiera, precettistica, a volte
cabarettistica ma senza il tragico di fondo.
Amo dire provocatoriamente che l'idea diffusa
di poesia va a sovrapporsi
pericolosamente con quella di biscotto
della fortuna. Gli editori, anziché
rieducare alla messa in discussione delle
certezze individuali che ogni buon libro
dovrebbe favorire (cfr. Kafka, Cioran),
santificano la finta innocenza del
lettore-consumatore in nome delle aspettative
di ricavo, in definitiva ammannendo al
lettore solo ciò che vuole sentirsi dire.
Parallelamente, c'è il sospetto che molte
scelte editoriali siano ormai operate sul
numero di contatti e like che il poeta
ha sui social, più che sulla qualità della
proposta. In pratica, su quanto il poeta può
vendere. È il mercato, baby: via con
altri biscotti della fortuna! Non succede
solo in Italia ma anche oltreoceano.
3. Come si
identifica oggi il linguaggio della poesia?
Resto massimamente
relativista al riguardo, salvo forse
sostituire linguaggio con innata
"musicalità" che, à la Verlaine,
credo debba sovraintendere a ogni espressione
poetica.
4. Oralità,
scrittura, virtualità: come interagiscono i
differenti canali nella realizzazione del
testo poetico?
Dal punto di vista
comunitario, più che integrazione e dialogo,
scorgo fazioni inasprite: i propugnatori
della poesia orale-performata fronteggiano
quelli della poesia lineare-scritta. Mesi fa
si è tenuto un convegno sulla poesia che
mi riferiscono ha avuto il suo
culmine emotivo nell'epiteto «filologo del
cazzo!» rivolto da poeta performativo a
poeta lineare; la parte avversa risponde di
solito dando del rapper al poeta
performativo. Molti performativi sostengono
non si dia poesia se questa non è
orabile od orata (con
relativo calembour ittico di
risposta). Di contro chi vede la poesia
anzitutto come scrittura sostiene che,
tramite realtà come i poetry slam e
le performance in genere, si applaude ormai
il poeta - la sua presenza e voce, le doti
attoriali e carismatiche - e non si fa quasi
più caso al testo. Resterei sul dato
empirico per cui, semplicemente, alcune
poesie hanno attitudine performativa, altre
si valorizzano di più se apprezzate in
silenzio. Cè un grande assente nel
dibattito: il fruitore di poesia. Che
occorrerebbe rendere edotto del panorama e
capace di scegliere, secondo la propria
inclinazione, la modalità di percezione
preferita, anziché tirarlo per la giacchetta
dalla propria parte. Personalmente, faccio
spesso uso di sottigliezze ortografiche e
grammaticali che non potrebbero essere rese
se performate (es. canzonare uno scrittore
disinvolto scrivendo
laradio). In più mi pongo
un problema: se performassi io le mie poesie,
ne sancirei uninterpretazione cogente,
autoritaria, limitativa. Quindi, se proprio
debbono essere lette ad alta voce, preferisco
che sia diversa dalla mia. Per finire, la
virtualità intesa come
internet o ebook è
tutto: un poeta oggi non può prescindere dal
mettersi in rete per raggiungere qualche
lettore e magari discuterci (possibilmente
senza farsi travolgere dalla brama di
consenso). Inoltre sono un sostenitore
dellebook di poesia: se il suo mercato
raggiungesse o superasse quello del libro a
stampa si correggerebbero molte storture del
nostro acquario. Se per
virtualità invece si intende
poesia ipertestuale, è un genere
verso cui sono curioso ma che non pratico; in
più lo vedo frenato dalla lentissima
ricezione di alcuni formati digitali
innovativi tra cui EPUB3.
5. Qual è lo
status del poeta? Perché oggi uno
spacciatore o un pornografo sono più
accettati socialmente di un poeta?
Lo status del poeta
vivente tranne mezza dozzina di casi -
è di dilettante e/o scansafatiche, per i
motivi già esposti. Ciò assume ormai nei
media valore assiomatico, aneddotico, quasi
scherzoso
Io lo vedo invece come un
silenzioso assassinio cui in realtà, se si
volesse, si potrebbe porre rimedio, iniziando
a rimettere la buona poesia in TV, magari in
fasce di ascolto privilegiate (fino agli anni
90 qualcosa si faceva). Poche illusioni
al riguardo. Quanto al secondo quesito, siamo
fitti nella società dei consumi e i mercati
di riferimento dei lavori citati,
oltre a soddisfare bisogni più istintivi o
resi primari dalle dipendenze, fatturano,
legalmente o meno, decine di zeri in più
della poesia. E il denaro, alla lunga, crea
accettazione sociale.
[Roberto R. Corsi]
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