Caterina
Davinio: "A nulla, ed è..."
1. Che funzione
ha la poesia? A cosa serve?
A nulla, ed è bene
così. Il fatto che ciò che facciamo debba
"servire" è un riflesso di una
società utilitaristica che vende e compra
merci. La poesia esprime la radice di ciò
che di volta in volta amiamo chiamare
universo, tempo, realtà, coscienza,
società; dell'impermanenza di tutte le cose.
Serve a ricordarcelo.
2. Come è
cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?
È meno ideologica e
impegnata, o forse lo è in modo dimesso e
disilluso perché certe speranze di cambiare
tutto sono cadute.
L'avanguardia fa oggi, più
che altro, il verso a sé stessa: benché
l'avanguardia sia un'esperienza creativa che
mai può tradursi in un genere o in una
scuola, qualcuno prima o poi tenta di
costruire orticelli e staccionate tra ciò
che si dovrebbe o non si dovrebbe fare.
Poi la poesia italiana è
sempre stata inconfessatamente neoclassica e
conservatrice. La longa manus di Petrarca si
protende su molti poeti contemporanei
passando per Montale, e vari giovani autori
si formano su quei poeti accademici, sono
educati al conformismo, perché ciò
significherebbe essere "bravi".
Per non lasciarsi
influenzare, si dovrebbe vivere da eremiti,
come Zarathustra, così, forse, scaturirà
un'idea, un'intuizione purificata dagli
inquinamenti.
3. Come si
identifica oggi il linguaggio della poesia?
I poeti accademici si
autostoricizzano, almeno ci provano; in epoca
social, gridano all'apocalisse. Ma la poesia
è ovunque, basta non avere pregiudizi. Non
c'è un linguaggio specifico della poesia, ce
ne sono molti. La poesia è come la droga: lo
capisci se è "buona", perché,
quando non lo è, non fa effetto. Quindi,
dopo che l'hai "sentita", vai ad
analizzare il linguaggio e studi da quali
meccanismi scaturisce, non viceversa.
4. Oralità,
scrittura, virtualità: come interagiscono i
differenti canali nella realizzazione del
testo poetico?
È un argomento
troppo vasto e molto complesso che ho
trattato in scritti e opere pionieristiche
negli anni Novanta, poi raccolti in alcuni
volumi dal 2000. Per me l'elettronica, il
mezzo digitale, inclusi i mondi virtuali,
Internet, i giochi immersivi come Second
Life, per esempio, devono entrare nella
sintassi, sconvolgere la struttura
dell'opera, modellarla sui nuovi materiali,
aprirla alla dimensione di autore collettivo,
di arte in progress, di interazione.
La mia ricerca è andata in
quella direzione, ma confesso che in questo
campo non mi sono relazionata quasi mai con
il contesto italiano.
Oggi c'è una riproduzione
di temi e strutture vecchie a livello di
massa; si è tornati talmente indietro, che
certe sperimentazioni non trovano più
cittadinanza, neanche nei nuovi media,
perché non funzionali nel sistema del
business editoriale o del mercato delle arti.
Anche nella multimedialità
si ricercano effetti riconducibili a
un'estetica tradizionale del bello.
Per me un libro è un
contenitore di tracce, tracce di vita,
inclusi gli eventi artistici interattivi e
digitali, che non possono essere riprodotti
sulla carta perché basati sull'apertura e la
transitorietà. Un'opera elettronica richiede
un approccio critico diverso, una estetica
nuova. L'arte è morta, ma alcuni giocano
agli zombie, rendendosi ridicoli: cosa c'è
di innovativo oggi, per esempio, nel recitare
o intonare una poesia su sottofondo musicale,
qualunque esso sia? Sarà anche un bello
spettacolo, ma già Omero e i poeti
provenzali lo facevano. La multimedialità è
innovativa solo se entra nella sintassi.
5. Qual è lo
status del poeta? Perché oggi uno
spacciatore o un pornografo sono più
accettati socialmente di un poeta?
A partire dalla
società industriale, l'intellettuale o
scende a patti con il gusto e le capacità
ricettive del pubblico, oppure è un
emarginato, un deriso, uno non compreso anche
quando viene acclamato.
Dalla notte dei tempi
l'artista ha fatto compromessi con poteri
più o meno grandi. Tutti ne abbiamo fatti,
ma arriva il punto in cui non vuoi più. Me
ne vado letterariamente in convento, anzi, mi
piacerebbe essere una vecchia santona che
vive in una caverna e dispensa consigli a chi
viene a chiederli, passando di lì. Non so se
questo può essere considerato uno status.
Quello del poeta, da molto
tempo, non è uno status (Perché mi dici:
poeta?): egli non dovrebbe mai prendersi
troppo sul serio.
Un poeta è anche uno
spacciatore, che agisce nella sua cerchia
clandestina, spaccia nella nostra società
merce proibita: dubbi e profondità,
consapevolezza, e anche quando gioca, quando
mente, sta spacciando verità.
Ed è anche un pornografo,
giacché mai si svelano le debolezze umane in
modo così osceno, in tutte le loro
contorsioni, come nella poesia.
[Caterina Davinio]
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