Paolo Ragni:
"La poesia sembra..."
1. Che funzione
ha la poesia? A cosa serve?
La poesia sembra
sommamente inutile, e certamente lo è per la
stragrande maggioranza delle persone, che
vive senza di lei e vive proprio bene. Ma,
come disse una volta Luzi, proviamo a farne a
meno, ragioniamo per sottrazione. Quando c'è
non ne avvertiamo la presenza, quando non
c'è, ne possiamo sentire la mancanza. Certo,
la poesia deve avere uno sguardo rivolto al
mondo, e invece spesso è esternazione dei
maldipancia di un io ciarliero e lamentoso.
La poesia serve (come ogni forma d'arte, del
resto) a conoscere meglio se stessi, gli
altri, l'Altro, la diversità. La poesia deve
cambiare la storia.
2. Come è
cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?
Distinguiamo tra vera
e falsa poesia. Il 90% della falsa è quella
che circola normalmente nei premi, nei
salotti, sul web e nelle pubblicazioni: si
parla sempre di sé e di un io lirico che non
esiste più, dal linguaggio aulico e
innaturale: non cambia mai. La vera poesia,
invece, cambia a seconda dei passaggi
storici, interagisce con questi, nel bene
come nel male. Almeno in Italia, grandi voci
si sono alzate parlando di piccole cose anche
in modo prosastico (citerei Magrelli tra
tutti); c'è chi strizza l'occhio alla
politica o, se si vuole, alla spiritualità.
Ma, finito il tempo delle avanguardie e delle
sperimentazioni, ci troviamo in un mainstream,
come nel jazz: le voci non sono spesso
perfettamente definibili, e, quando lo sono,
si rischia un po' di ricadere nel déjà
vu. 50 anni fa si credeva che la poesia
potesse cambiare il mondo, oggi non più.
3. Come si
identifica oggi il linguaggio della poesia?
Viviamo in una
società liquida, e Baumann ha giustamente
osservato che sono presenti molti linguaggi
in contemporanea. Così come sono molti i
tipi di pubblico, così abbiamo molte
poetiche compresenti, ognuna per un diverso
tipo di mercato. Ahimè, il mercato ha vinto
tutto, dalla politica -in cui gli elettori
sono solo consumatori di offerte politiche-
alla poesia, in cui i lettori sono sezionati
come stili di vita, gusti, mode etc.. E così
abbiamo tanti linguaggi quanti sono i
possibili destinatari. Forse la poesia,
avendo smarrito un sistema valoriale preciso,
si adegua agli schemi della società e non
pretende più di rigenerarla. Quindi non
credo che si possa individuare un linguaggio
della poesia, ma un generico unicum
articolato per fasce di lettori.
4. Oralità,
scrittura, virtualità: come interagiscono i
differenti canali nella realizzazione del
testo poetico?
Bella domanda! La
virtualità è certamente la novità degli
ultimi 50 anni, pregi e difetti messi
insieme: grandissima facilità di
pubblicazione, possibilità di arrivare a
migliaia di persone tramite i social network,
siti e blog facilmente accessibili e
visitati. Il rischio maggiore della
virtualità è l'immediatezza, esattamente
come gli istant poll dopo gravi
fatti: nessuna riflessione, nessuno stile,
nessuna mediazione. Senza mediazione, se non
si ha una grandissima tecnica, non si può
fare improvvisazione... e penso al contario
ai grandissimi jazzisti del secolo scorso.
Vedo più importante l'oralità. La poesia
deve essere vissuta non solo sulla carta
stampata o su uno schermo di un pc, di un
tablet o di uno smartphone, deve essere anche
ascoltata, magari in contesti appropriati.
Come la musica, la possiamo sentire a casa,
seduti sul divano, o in una sala da concerto.
Non è esattamente la stessa cosa. Oggi, che
possiamo avere tutto a casa cancellando spazi
e tempi (Amazon Prime ne è un
esempio) forse dobbiamo riscoprire la poesia
letta ad alta voce in una piazza. Occorre una
riflessione importante sui luoghi della
poesia, che si potrebbero identificare nelle
stazioni delle tranvie e delle metro, davanti
ai supermercati, sui sagrati delle chiese e
nei giardini pubblici. La riconquista
dell'oralità significa la riconquista di un
pubblico vero, di un'emozione condivisa, di
un rapporto tra chi è sul palco e chi è
giù: sembrano discorsi post sessantottini,
invece è solo l'adeguamento a un diverso
tipo di società che alla poesia chiede
emozioni, interesse e visibilità. La poesia
deve uscire dagli spazi museali e dai palazzi
antichi, deve stare nei luoghi aperti, e
l'oralità è, per questo, una forma viva che
può aiutare anche a ricostituire i rapporti
tra le persone.
La forma scritta, cartacea o anche in e-book,
non deve morire, né oggi né mai, ma deve
sapere convivere con la recitazione. Più,
quindi, che di "realizzazione del testo
poetico", si deve avere la necessità di
"realizzazione dell'evento
poetico", di fruizione della poesia. I
canali non sembrano tanto adatti a
realizzare, quanto ad esportare quel che già
abbiamo scritto. L'improvvisazione, così
deleteria nelle poesiole usa-e-getta, può
invece diventare essenziale nella costruzione
di eventi aperti, come, una volta, usava
nelle campagne, sull'Appenino, in Corsica...
dobbiamo reimparare l'oralità come
ri-creazione di un tessuto sociale e
culturale comune.
5 Qual è lo
status del poeta? Perché oggi uno
spacciatore o un pornografo sono più
accettati socialmente di un poeta?
Il poeta,
nell'immaginario comune, è noioso, ha gli
occhiali spessi, tiene regolarmente la mano
sulla bocca perché imbavagliato dal
potere... il poeta è problematico, di solito
triste, un po' nervoso. Quando non lo è, si
vende come ogni personaggio pubblico, al pari
di un politico o di un commentatore
televisivo. Del poeta il grande pubblico vede
l'ostentata nullità o inutilità, il poeta
non fa divertire, fa pensare troppo, è
infinitamente meno interessante di un
qualsivoglia evento sportivo. Sia chiaro, non
si rivendica qui il ruolo di trombettiere
della rivoluzione (Vittorini) e non si
pretende di tornare alla lucidità politica e
sociale di un Pasolini o di un Calvino. Sono
altri tempi. Il poeta ha perso del tutto il
ruolo di interprete, non è più colui che,
rispetto agli altri, ha in più solo il dono
di sapere esprimere quello che gli altri
vorrebbero dire ma che non ce la fanno (cito
Riviello). Il poeta oggi non è né
apocalittico né integrato (Eco),
semplicemente non si pone, quindi non è.
Questa società ha scarso bisogno di poeti,
come di profeti. L'unico status di poeta
ammissibile pare essere quello di chi accetta
la non-integrazione ma col sorriso sulle
labbra, di chi contesta il potere ma sa
riderci sopra, di chi dimentica se stesso e
sa guardarsi liberamente attorno: finiamola
con l'io del poeta!
[Paolo Ragni]
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