Matteo Rimi:
"A cosa serve il sogno..."
1. Che funzione
ha la poesia? A cosa serve?
A cosa serve il
sogno? Da sempre luomo, minacciato dal
contatto con questa dimensione inconsistente
di cui non ha il controllo, ha cercato di
dare un senso al suo sognare: dal vaticinio,
al delirio, alla psicanalisi, alla
neurologia. Sempre, però, esso sfugge al
nostro raziocinio e ci getta tra soggioganti
sensazioni che sono in tutto e per tutto
reali come ogni cosa che vivi quando la stai
vivendo.
Per larte e la poesia
è la stessa cosa.
Luomo
(fortunatamente) non è solo raziocinio ed
alcune parti di sé, come il sogno, sfuggono
al suo controllo e spaziano tra ciò che non
è stato (ancora) inventato. O scoperto. Si
può dire che abbia un bisogno fisico,
impellente, di sfuggire alle stesse regole
che si è dato, per non impazzire o ingrigire
del tutto.
La poesia serve a questo: a
rimanipolare la realtà attraverso ciò che
la definisce maggiormente, la parola, a
rinnovarla, a renderla nuovamente vivibile.
Per chi la frequenta ma anche per chi la
fugge o ignora. Oggi più che mai, se è vero
che tutto può essere omologato, anche la
stravaganza ed il dissenso, la poesia, quella
vera, quella che, come un mantra, una formula
magica, riesce a scardinare il pensiero
comune anche solo per pochi secondi, si alza
come flebile canto contro
lappiattimento del pensiero.
2. Come è
cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?
Non si intuisce la
Storia mentre la si sta vivendo.
La poesia prende ogni
giorno, grazie a coraggiosi (ed a volte
sfrontati) sperimentatori, strade diverse,
magari già tracciate e poi dimenticate,
magari nuove solo impercettibilmente, che non
sappiamo essere percorsi che si apriranno su
ampie vallate o in realtà vicoli ciechi.
Questo non rende vano il
domandarsi sul destino della poesia ma
alleggerisce ognuno di noi della grave
incombenza di traghettarla chissà dove: la
poesia prima di tutto è intuizione,
ispirazione, guizzo. In poche parole: vita! E
non concepisci un figlio sapendo che lavoro
farà...
Tutto ciò per affermare
che i cambiamenti sono stati tanti e che
ognuno, con propri interesse e capacità,
potrebbe dare risposte completamente diverse
a tale domanda. Ed ogni risposta sarebbe
legittima, se chi la formulasse ne avesse
fatto spinta propulsoria.
Cè da augurare a
tutti, piuttosto, di scrivere con entusiasmo
e serietà, sapendo che la poesia è il
diamante cavato fuori con fatica dalla pietra
grezza della lingua ma senza perdere la
spontaneità ed il coraggio di provarci. Ma
soprattutto servirà umiltà, quella che
spinge a posare la penna ed aprire un buon
libro quando non si è convinti che quel
verso potrebbe fare la differenza.
3. Come si
identifica oggi il linguaggio della poesia?
Sommersi dalle
parole, tra semantiche che si confondono fino
a non sapere più quando si esce dal tecnico
e si entra nel folkloristico, è in effetti
difficile identificare ciò che distingue
quello della poesia da qualsiasi altro
linguaggio che, anche quando ne sfrutta stili
e temi per scopi altri (commerciali,
propagandistici, romantici, ecc.), non è
comunque il frutto del lavoro accurato e
scrupoloso di un artigiano della parola. Il
tutto reso ancora più complicato dalla
facilità con cui si condividono testi
credendoli poetici senza esser stati vagliati
neppure dal proprio senso critico!
Per questo lunica
lanterna che aiuta a distinguere il
linguaggio della poesia dal restante
cicaleccio è quella accesa da dentro, dal
punto esatto dove il testo va ad agire, senza
sapere neanche di quale parte di te si
tratti!
Quello che ti sorprende,
quello che non ti abbandona, quello che non
si lascia comprendere ad una prima lettura,
quello che richiede le stesse capacità che
servono per ricomporre una figura da una
serie sparpagliata di pezzi di un puzzle:
quello è ancora lunico linguaggio
della poesia!
4. Oralità,
scrittura, virtualità: come interagiscono i
differenti canali nella realizzazione del
testo poetico?
Studi di glottologia
hanno portato ad identificare basi comuni del
linguaggio per ogni epoca ed ogni individuo,
come se il cervello umano formulasse in
autonomia le regole grammaticali e le
coniugasse poi a seconda dellambiente
in cui la persona nasce e cresce (ne è
esempio lampante, in italiano, il bambino che
coniuga come fosse regolare il participio
passato di un verbo irregolare). Questo porta
a far riflettere sullorigine del
linguaggio ed, in particolare, su quello
della poesia: nasce come parola? O come idea
che poi si configura attraverso i mezzi che
luomo si è dato per comunicare? E,
proseguendo su questo sentiero, nasce orale
come ci tramanda la Storia o si determina
infine sulla carta, nero su bianco, suono,
ritmo, ma anche di-segno grafico?
Se è vero che la poesia è
unesigenza umana, credo che la sua
realizzazione passi dai mezzi che ogni epoca
si dà per interagire ma che lorigine
sia sempre la stessa, laggiù, in quella
piega incontrollata del cervello.
Lorigine ed anche la destinazione: è
un dialogo tra sinapsi uguali in individui
diversi.
Tutto il resto sarà arte
ma forse non poesia. Cè poesia in ogni
creazione, ma ogni creazione non è poesia.
5 Qual è lo
status del poeta? Perché oggi uno
spacciatore o un pornografo sono più
accettati socialmente di un poeta?
Luso che un
poeta fa della propria arte potrebbe
avvicinare molto la sua attività a quella di
uno spacciatore o di un pornografo. Questo
renderebbe più socialmente accettato il suo
status ma snaturerebbe forse il ruolo stesso
di questa figura: perseguire notorietà e
consenso è davvero lo scopo di chi scrive
poesia? Oggi lo spacciatore ed il pornografo,
ieri lesploratore, il cantante od il
soldato: il poeta è sempre rimasto in
secondo piano rispetto a figure in grado di
catalizzare maggiormente lattenzione e
se, in questo tempo, personalità letterarie
del passato sembrano godere di una fama
indiscutibile, forse non era altrettanto
quando erano in vita!
Paragonandosi a tanti
uomini e donne di successo, il rischio è
perdere di vista il vero impulso della
poesia, quello di continuare a farla crescere
di pari passo con levoluzione
delluomo, coltivarne la creatività e
lempatia, far fare al linguaggio passi
in avanti, essere monito per le sue derive.
Per far questo serve qualcosa che somiglia ad
una monacale dedizione ma non ci sarà
sensazione più appagante di sapere, in un
qualche momento della propria carriera, di
aver contribuito a tutto questo!
[Matteo Rimi]
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