"L'area di Broca", XXV-XXVI, 68-69, 1998-99
SCRITTURA
Nadia Agustoni
Nei deserti
ascolta
Scrivere infine è ascoltare. Ascoltare e scrivere contro la paura, la confusione, le definizioni del reale e del mondo che non ci trovano, scrivendo "perché il sogno più vero è quello più distante dalla realtà, quello che vola via senza bisogno di vele, né di vento" (Hugo Pratt).
Chissà se una simile scrittura è lontana dal vero come dal falso ma con le radici indurite da un’urgenza senza nome e inesplicabile, un’urgenza fatta di poche cose, soprattutto mancanze e devastazioni? È quindi per necessità che si scrive, ma partecipando al moltiplicarsi di voci che sembrano infierire, abbattersi, scalzarci da inutili concretezze, rubando così quanto è nominato, saccheggiando quello che è segreto, voce-memoria di luoghi dove siamo testimoni e ospiti. Scrittura-scritture di testardo rovesciamento e di molte ombre.
Scrivere per vivere come noi stessi è difficile e vivere come siamo pare a volte impossibile. Ci chiudono le strade e la parola per rendere inaccessibile il pensare. Allora troviamo i deserti. Ci sono deserti anche senza parole, di muta instabilità e deserti di parole la cui instabilità permette di muoversi, di toccare l’esterno della fuga che non ha ricompense né un ricomporsi e non ha una fine. Siamo le nostre parole in cerca del margine che le inscriva e della propria leggenda. Le leggende non sono sogni, sono i nostri segni, deserto e parola che ora si ritirano e sono dietro lo sguardo.
Il deserto è risonanza, ma anche il miraggio del silenzio. Si sente che attira l’inverosimile e non ha prudenza come il centro del sogno non ha tempo. La parola è come i deserti, creduta e incredibile o non è parola. Togliersela dalle mani, per metterla nelle mani di qualcuno, è crederci o interrompere la propria libertà? Un mondo felice può essere un mondo migliore, ma un deserto può essere un posto felice?
Può esserlo per alcuni.
C’è una solitudine dal mondo e c’è una solitudine che è fatta dal mondo e forse non è possibile a chi scrive indicare a quale appartiene.
La scrittura è spazio sognato e imperfetto, che nell’atto di darsi si sottrae. Non si cura del tempo. Il tempo può solo essere altro tempo, il divenire, il dipanarsi quasi molecolare a cui resistere, inchinarsi, eclissarsi, ma a cui in fondo non crediamo. Il tempo è ancora e sempre DOPO. Scrivere scaglia il tempo lontanissimo. Logora il tempo e lo rende inservibile, lo ridefinisce inessenziale (non lo nega perché non è questo il punto), ma lo allarga, lo strania, lo smargina. Quello che lo scrivere occupa o tralascia è lo spazio non misurabile della vita, è la tentazione/tensione stessa che arriva ad esserci. Un oltre immediato e catartico.
La pagina bianca è il deserto o qualcosa visto dal suo dentro, ma dentro qui è sempre confine, la linea d’ombra che attraversa quello che siamo e quello che saremo. Più ci inoltriamo e più si sporca la pagina e più il passo ci dissomiglia da quello che eravamo o abbiamo creduto di essere. Scopriamo con entusiasmo o trasognati gli infiniti e increduti io. La moltitudine di NOI.
Di fronte a questo squarcio la vera possibilità che ci è data è la compassione. Non più l’atto in sé dello scrivere, ma l’ascolto.
Sentire è anche voler vedere e tradurre lo spazio bianco, in rivolta contro le nostre stesse abitudini, di somigliarci senza somigliarci affatto e di non essere come invece siamo. La grotta dell’alchimista, o l’antro della strega sono il posto dove ci troviamo e da cui viaggio e scrittura ricominciano.
Ricominciano più deserti ogni volta, più inoltrati.
I nostri luoghi sono, frontiera dopo frontiera, quel non lasciare mai perdere.
Scrivere è mettere in scena uno spazio: scritture, contaminazioni, inadeguatezza, coinvolgimenti, impazienza, mutismi, attraversamenti... i puntini stessi, le sospensioni, sono l’impraticabilità di concludere. La scrittura non finisce. Non solo. La scrittura può aprire, abbandonarci, essere integralmente scritta e quindi recidiva anche nel farsi leggere.
Una scrittura riconosciuta è riconoscente.
Intima, come quegli incontri casuali che lasciano ombra e solitudine di qualcuno. Probabile, parola che si cancella e riscrive.