"L'area di Broca", XXVI, 70, 1999
COLORI
Maria Pia Moschini
Non c'è follia nel giallo
La porta si chiude con un flop liquido, orizzontale.
Guardai le sbarre di vetro come un abbaglio.
Niente al di là, solo alcuni frammenti del mio corpo in movimento che guizzavano astuti e indefiniti nell'occhio instabile.
La cella (una stanza quadrata, meglio cubica, una scatola) era dipinta di un ipotetico giallo che negli angoli si addensava in grumi più intensi, astratti.
- Dovrò convivere con questo giallo... -
Fu il mio primo ed unico pensiero, compatto come un uovo di marmo.
La casa dei matti
Non ho percezione della mia follia, avverto, sì, qualcosa di deforme che esce dai pertugi del mio essere carne ed acqua, forse sangue sbiadito come un vinello.
Un vegetale che si adatta a tutte le asperità e ricopre il vuoto/pieno di una spuma verde acido.
Prima lo estirpavo con velocità lampeggiante e lo sotterravo col piede, strisciando veloce.
Poi il muschio si è fatto immenso: camminavo trascinando questa coltre umida, questa estromissione costante come se appartenessi al suolo soffice del bosco.
Mi sentivo pianta carnea, semovente.
Ero certa che gli altri capissero. Che sapessero.
Invece il muschio diventava invisibile in presenza di occhi e lingue altrui.
Mi apparteneva. Mi possedeva.
Quando smisi di estirparlo si propagò nelle stanze coprendo mobili, libri, tutto.
L'odore mi stordiva.
Non mangiavo più.
Mi trovarono sul pavimento, interrata, silenziosa e raccolta come un bulbo in letargo.
Pausa
Il giallo di questo vuoto cubico mi disorienta.
Lo fisso roteando la testa e scrivendo grandi cerchi nell'aria.
Il muschio si liofilizza, diventa polvere, cade ai miei piedi in un pulviscolo pensante.
C'è una lastra di metallo infissa nella parete: l'unico spazio di non giallo.
Cauta mi avvicino: è un'anima che mi fissa. Bianca, ondulata, lunare.
Mi sdraio sul letto di polvere. Narici, orecchie, bocca... libere. Libere.
Ho paura, le cavità inspirano aria, non emettono più filamenti.
Il giallo mi avvolge, mi lucida, rende il corpo fluorescente, integro.
Trovo il mio nome nella piegatura del braccio, i piedi osservano con infiniti occhi unghia. Sono i miei piedi.
E' cambiato anche l'odore. Un sentore leggero di agrumi, di limoni canditi esce dai muri.
Lo respiro con la forza del marinaio.
La finestrella a sbarre è aperta su un cielo bianco, liquido.
Il muschio si è ridotto a un lungo filo verdino che viene aspirato da tutto quel latte.
Mi chiamo piano. Mi rispondo. So chi sono.
Sento il giallo che mi avvolge in un vapore casto.
Il mio corpo è tornato nel suo alveo.
Ora
Né pioggia, né vento possono entrare.
Sono un'isola