"L'area di Broca", XXVII, 71-72, 2000
SCRITTURA E (E') POTERE(?)
Mirco Ducceschi
Dietro il banco di Kocher
(omaggio a Robert Walser)
Se mai si ripresentasse un tema così nebuloso per l'ora di scrittura so che mi troverò senz'altro in gravi difficoltà, e questo, sia detto, per una serie abbastanza confusa di emozioni che avverto ostili tanto alla gioia della scrittura quanto al pedante esercizio di un compito in classe. L'aspetto più curioso è intanto questo, che una volta esposte in pensieri coerenti, simili riflessioni comporrebbero a loro volta lo svolgimento di un tema analogo: fumoso e inutilmente allarmante. Il risultato sarebbe forse un libello? Una contro-riforma? Un'idea assurda destinata ad infastidire l'umanità nei secoli? Ebbene, non posso saperlo, spero tuttavia, già da adesso, che nessuno voglia mai dettarmi un simile testo. Mi sarebbe davvero difficile concepire in me stesso uno stato di rivolta così evidente di fronte al dovere. Un uomo che si rivolta contro i propri doveri ha dei seri problemi con la società, e dal momento che la società è la società degli uomini, a chi mai potrebbe sperare di rivolgersi costui? Con chi parlerebbe? Chi vorrebbe ascoltarlo o semplicemente averlo accanto? E di cosa potrebbe lamentarsi a quel punto? Sarebbe un uomo più fastidioso a vedersi dei poveri sotto i loggiati del teatro. E' una vera fortuna perciò che al momento io possa dichiarare di aver solo intenzionalmente tremato al pensiero di una siffatta eventualità. Quanto al mio compito, è vero che non avrei potuto iniziare un tema di seconda classe in modo più sconclusionato. Da quando in qua si dà inizio ai propri pensieri con una protesta? Questo rimbrotto che mi faccio mi conforta, e mi dà forza, sollevandomi subito da inutili pretese. Come sanno essere profonde le persuasioni che sorgono dall'aver scacciato goffe fantasie! Sanno essere tiepide e profumate come abbracci di madri dopo un attimo di incertezza, e se davvero dovessi accostare le parole che scrivo a qualche forma di potere, bene, dovrebbe trattarsi per lo meno di un potere magico molto simile ad un abbraccio verso il quale ci si è lungamente protesi. Sì, non potrebbe essere altrimenti. Se la mia scrittura avesse un qualche potere diverso sarebbe terribile, e quest'ora dedicata alle belle cose da dire diverrebbe un'eternità tormentosa. Che cosa accadrebbe al mio lettore? Cristallizzerebbe forse in un mostruoso manichino da sartoria? Sarebbe così poco interessante. Odio chi cova qualcosa nel suo intimo. Chi mi risponde quello che mi aspetto che mi risponda. Solo lui, il lettore libero e attento di questo mondo scritto, può tiranneggiarmi quanto vuole e incontrare nondimeno tutta la mia stima, solo lui può mettermi alla prova braccandomi in uno specchio nel quale non mi rifletto. Come appariranno sciocche e puerili le stravaganze espresse da queste immagini. Sarò sicuramente ripreso per la concentricità del mio stile, ma anche questo rimprovero riuscirà mai a farmelo cambiare? Ora, però, devo probabilmente ammettere che il potere ha per me qualcosa di estremamente repellente. Io temo solo di farne parte. L'esercizio deI potere non è adatto ad una mente che spera di essere intelligente. Se mai diventassi un dittatore, le persone che mi conoscono avrebbero ragione a farsi beffe di me e a chiamarmi asino. Come sarebbe possibile, infatti, essere ragionevoli con il potere? Non è forse una nostra informe ossessione? Sono sicuro che anche dopo una lotta furibonda a pugni e calci non ridurrebbe le sue pretese di infastidire il prossimo, ma concederebbe lascivamente ancora un po' di se stesso, solo perché la misura che gli appartiene su questa terra resti sempre e comunque la stessa. E una volta diventati suoi servitori, che cosa saremmo più capaci di mettere al suo posto? Se dovessi essere amico di qualcuno per forza, o se qualcuno fosse obbligato ad essermi amico proverei un profondo disgusto per questa vita. Non riuscirei più, in nessun tema successivo, a parlare degli alberi e dei fiori, o a ripensare all'incanto offertomi dalla vista di una bella signora seduta sulla riva del lago. La signora sta infatti leggendo un libro, ed è una grazia assorta mentre tiene sollevata una mano per accarezzarsi le ciocche dei capelli. Il vento leggero fa balenare i riflessi del lago come un'accresciuta armonia. Oh, come non desiderare, per l'età adulta, di diventare uno scrittore come quello, e di fissare per sempre quell'idilliaca immagine negli occhi dello stupito passante! Ma se quel libro invece trattenesse la bella signora per un suo vanitoso e sciocco potere, se lei non fosse libera ma incatenata alle parole e come incollate le dita alle ciocche dei capelli, se il vento fosse un sibilo grottesco e quel riflesso un ghigno, so già che questo farebbe di me un terribile solitario, oppure un vagabondo inconsolabile. Che pena pretendere che qualcuno si ritrovi in catene di fronte alle mie insulsaggini. O che, a causa di queste, qualcosa di bello ed elevato, in questo mondo, non possa essere più scritto né letto, non trovi più spazio. Questo è un tema pieno di terrore. È una buona cosa perciò ch'io sieda ancora tra i muri noiosi della scuola, qui si può ancora scrivere per cercare parole migliori, qui si può ancora pensare ad un bel voto e meritarsene uno peggiore, qui la mancanza di lettori può ancora farci capire che cosa sia il potere, e quale sia il nostro fastidio più grande, se il subirlo o il non poterlo infliggere. Ma adesso basta. Non sono un po' troppo giovane per espormi a conclusioni sullo stato delle cose e sul mio futuro che non siano quantomeno avventate? E questi rovelli, queste contorsioni, non sarebbero piuttosto materia di elucubrazione per qualche professore dei corsi superiori? Parecchi anni fa, tra questi banchi, c'è stato un alunno molto bravo in ogni genere di tema. Chissà che cosa avrebbe scritto lui. Saremmo rimasti tutti silenziosi ed incantati nella lettura della sua composizione, di questo ne sono certo. Era bravissimo. Dicono che se ne sia andato senza terminare gli studi, così, senza motivo.
Questo la dice lunga sul potere più di tutte le mie parole.