"L'area di Broca", XXVII, 71-72, 2000
SCRITTURA E (E') POTERE(?)
Paolo Pettinari
Un oceano di cassetti virtuali pieni di "ma..."
Il vizio di scrivere non è forse fra quelli che l'umanità ha contratto per primi, ma ci accompagna ormai, nelle diverse sue forme, da svariati millenni. E la scrittura è sempre stata, in qualche modo, legata a forme di potere. Fin dalla sua nascita, migliaia e migliaia di anni fa, si è subito presentata come una sorta di abilità sapienziale, gelosamente custodita dai pochi eletti che ne conoscevano i segreti. Nelle società arcaiche di quei tempi nebulosi, ancora intrise di pensiero magico, in cui il linguaggio era spesso inestricabilmente legato alle cose, la scrittura era allo stesso tempo strumento comunicativo e mezzo per agire magicamente sulla realtà. Possederne la tecnica significava detenere un potere che consentiva un controllo molto forte sulla cultura della comunità. La conservazione e riproduzione del sapere era riservata a delle caste (sacerdoti, scribi e pochi altri individui selezionati) che decidevano cosa riprodurre e cosa condannare all'oblio, con un potere di interdizione contrastato solo marginalmente dalla pur inesauribile vitalità della tradizione orale.
Questo uso elitario della scrittura è poi continuato nei millenni, certamente spogliandosi dell'aura magica e sacrale che aveva all'inizio, ma tuttavia restando appannaggio di minoranze talvolta anche molto ristrette. La semplificazione dei codici, come il passaggio dalle scritture geroglifiche o cuneiformi a quelle alfabetiche, ha via via allargato il numero di coloro che potevano apprendere, con buona padronanza, l'utilizzo dei segni scritti. Tuttavia, per riprodurre, conservare e trasmettere quelle informazioni era necessario un lavoro (di copiatura) e dei materiali (pergamena, papiro, carta) che soltanto pochi potevano permettersi. In genere questi privilegiati appartenevano alle classi patrizie o sacerdotali e, più tardi, alla borghesia cittadina. C'è sempre stata, insomma, una stretta interdipendendenza fra potere e accesso alla scrittura. E in tempi in cui la trasmissione e riproduzione culturale avveniva per mezzo di copie fatte e distribuite a mano, saper scrivere significava anche poter pubblicare e diffondere dei testi che si sarebbero poi conservati in quella forma. Chi non aveva accesso alla tecnica della scrittura, chi non sapeva scrivere, poteva trasmettere informazioni e testi in modo forse più semplice e veloce, ma con lo svantaggio di una trasmissione meno sicura e la certezza che le sue parole si sarebbero via via modificate e sarebbero state dimenticate o, nel più fortunato dei casi, si sarebbero conservate sotto un'altra forma.
L'avvento della stampa porta un po' di scompiglio in questa situazione. Saper scrivere non è più sufficiente per poter diffondere le informazioni e i testi: bisogna anche possedere i mezzi di riproduzione. Il potere dato dalla scrittura comincia a distribuirsi, a dividersi fra chi sa esercitare la scrittura e chi sa riprodurla e diffonderla. Lo scriba, scrittore o scrivano che sia, ora deve dividere i suoi privilegi con lo stampatore o editore. Perde definitivamente ogni aura magica, trasformandosi in un produttore di testi che dei mercanti, in seguito, decideranno forse di moltiplicare e far circolare, con l'obiettivo di un tornaconto economico. In questo nuovo scenario sono i mercanti a esercitare il potere della scrittura, decidendo cosa diffondere, quali testi far vivere e cosa, invece, condannare alla dimenticanza. Nell'era della stampa, riprodurre e divulgare scrittura significa esercitare un potere ben più di quanto non lo significhi produrre scrittura. La casta o classe o corporazione editoriale, cioè, viene ad esercitare (e lo fa tutt'oggi) un potere sicuramente più forte di quello esercitato dalla casta o classe o corporazione scrivana. Anche il progressivo regredire dell'analfabetismo, con l'accesso alla scrittura di coloro che ne erano sempre stati esclusi, non sembra modificare la situazione. Semmai allarga il cosiddetto bacino di utenza rendendo più pervasivo il potere dei padroni della scrittura. Oggi poi che al codice scritto si sono affiancati i codici audiovisivi di cinema, radio, televisione e mezzi elettronici, la pervasività di questo potere, con tutti i rischi che comporta, è ancora più evidente. Sicuramente lo scrittore non è più né mago né sacerdote, con le parole non agisce più magicamente sulla realtà, tuttavia esercita un'arte retorica che, anche quando comunica i contenuti più banali, tende a persuadere. Dunque, chi può scrivere può anche persuadere e chi ha il potere più o meno grande di diffondere scrittura (o anche testi basati su altri codici) esercita un potere più o meno grande di persuasione.
In questi ultimi anni, però, si stanno aprendo scenari totalmente nuovi: l'avvento dei computer prima, e della rete mondiale poi, hanno aperto prospettive che lasciano intravedere grandi cambiamenti. La scrittura ha cominciato a viaggiare non più soltanto su veicoli solidi come la carta e tutti quei materiali su cui, fino ad oggi, è stato possibile scrivere, supporti in cui ci appare visibile, presente in modo fisico e sensibile. Ora viaggia anche su veicoli come dischi di plastica, cavi, onde radio, tutti supporti dove non è visibile, ma presente sotto forma di impulsi elettromagnetici che poi, a loro volta, si traducono in segni grafici sul monitor di un computer. La cosa veramente nuova e straordinaria è che questi impulsi si possono riprodurre e trasmettere con grande facilità e velocità. A chi produce scrittura ora si prospetta la possibilità di moltiplicare e divulgare i suoi testi senza doversi rivolgere al mercante. Lo scrivano torna ad esercitare il suo potere, non più magico ma pur sempre persuasivo, in totale autonomia dalle interdizioni del mercato. Già ora sono innumerevoli i siti internet che propongono testi di autori sconosciuti. E si stanno moltiplicando a dismisura i siti personali in cui singoli autori offrono i propri lavori letterari senza alcuna mediazione critica o editoriale. Usando questi canali, però, l'autore deve anche tornare ad esercitare la scrittura non come professione ma come semplice attività dell'intelletto, perché la facilità di riproduzione gli rende più difficoltoso (o addirittura impossibile) esercitare diritti di proprietà sull'opera dell'ingegno.
Questa conseguenza, che spaventa gli editori, è per il momento esorcizzata dal fatto che i testi elettronici, benché facili da copiare, sono difficili da leggere. I monitor dei computer o dei cosiddetti e-books (potremmo chiamarli videolibri) non possono ancora sostituire la comodità e la qualità delle pagine di carta: leggere un testo su un monitor è generalmente scomodo e stanca gli occhi. I piccoli e-books portatili hanno dimensioni inadeguate (sono troppo piccoli o troppo pesanti), dopo un po' hanno le batterie scariche e, soprattutto, costano troppo in relazione al piacere che possono darci. Ma quando anche queste macchine saranno perfezionate, quando la pagina di un videolibro avrà la stessa qualità grafica di una pagina di carta e lo stesso rispetto per la vista, quando un videolibro peserà non più di un romanzo di 300 pagine e costerà non più di un dizionario, allora ci troveremo veramente in un'altra epoca: ciascun autore potrà pubblicare direttamente i suoi testi ignorando le mediazioni e le interdizioni degli editori e del mercato e... scomparendo in un mare infinito di informazioni e testi. Il potere esercitato attraverso la scrittura assumerebbe forme diverse rispetto all'epoca della stampa, perché (presumibilmente) i mercanti ne sarebbero di nuovo privati; ma anche rispetto all'epoca della diffusione manoscritta, perché la capacità di scrivere non è ormai più appannaggio di una piccola casta di privilegiati. In realtà, se ci poniamo in una prospettiva più ampia, questa sorta di evoluzione democratica della scrittura sembra estremamente limitata e con un futuro quanto mai nebuloso, considerando che ci sono tuttora, soprattutto nelle aree meno ricche del pianeta, miliardi di persone escluse da questi mutamenti.
Ad ogni modo, se si realizzasse lo scenario che abbiamo prefigurato, lo scrittore potrebbe tenere i propri testi in una sorta di cassetto virtuale (oggi il proprio sito internet, domani chissà) accessibile a chiunque volesse aprirlo. Sarà il lettore-ficcanaso a decidere se quel testo meriti di essere letto o consegnato all'oblio. "Ma…", obietterà qualcuno, "saremo inondati da porcherie letterarie, nefandezze sotto forma di parole scritte!" E' probabile. Ma in fondo lo siamo già - basta frequentare librerie o edicole - e comunque nessuno ci obbligherà a leggere quello che non ha valore o non ci piace, sia che appaia scritto su carta o memorizzato in rete. Invece potremmo scoprire degli ottimi testi che nessun editore avrebbe mai dato alle stampe perché fuori mercato. Se ne potrà avvantaggiare l'editoria specialistica, che avrà più mezzi per diffondere testi tecnici e scientifici non divulgativi. Ma anche l'editoria didattica potrà avere sviluppi interessanti, potendo contare su strumenti multimediali che rivoluzioneranno la nozione stessa di testo. La lettura, in molti casi, non potrà più essere lineare, ma selettiva e cognitiva: dovremo avvicinarci ai testi sapendo di dover selezionare le informazioni secondo percorsi non prestabiliti, quindi elaborarle per ricostruirne un contenuto che rimarrà comunque precario. Non dimentichiamo infatti che i testi elettronici sono instabili, si possono modificare con grandissima facilità e spesso i lavori pubblicati in rete non sono in versione definitiva, ma cambiano, vengono corretti, rivisti, cancellati, riscritti. Sotto questo aspetto hanno molti punti in comune con i testi della tradizione orale: per certi versi, paradossalmente, il futuro della virtualità si presenta come un ritorno al passato remoto dell'oralità.
Fra gli aspetti positivi potrebbe essercene anche un altro: gli autori avranno meno alibi. Se tutti potranno pubblicare, il successo di un testo, il fatto che venga letto e giudicato positivamente o negativamente, dipenderà sempre più da fattori legati al gusto estetico e sempre meno da scelte mercantili fatte da altri. Gli autori, insomma, non potranno prendersela con gli editori che rifiutano la pubblicazione dei loro testi, perché diventeranno tutti editori di se stessi. Potranno, però, continuare a prendersela con i critici (e sicuramente lo faranno), perché crescerebbe il potere di questi ultimi e la loro responsabilità: critici che dovranno trasformarsi in una sorta di esploratori di un incommensurabile oceano virtuale di testi, da cui potranno emergere indicandoci tesori, pesci esotici e continenti sommersi. Ma... anche i critici potrebbero moltiplicarsi all'infinito, annullandosi a vicenda in un trionfo di oblio.
In uno scenario di questo tipo, insomma, in cui scrittura e oralità tendono a contaminarsi, è probabile che il potere dato dalla scrittura finisca per confondersi, in modo più generico, con il potere persuasivo del linguaggio. Parola scritta e parola detta andrebbero ad amalgamarsi in un codice ibrido di cui non si possono certo immaginare gli sviluppi, ma che lascia intravedere, da questo angolo di periferia, dei nuovi e misteriosi spazi di libertà tutti da conquistare.