"L'area di Broca", XXVIII, 73-74, 2001
TERRA
Domenico Cara
Terra: aria di cose
Come finirà con "la terra che trema" e casa-da millenni-dell'effimero? Ognuno di noi vi continua a cercare il senso della vita: con cupa fantasia, con rapace passione, con annunci ribelli, altre sensazioni occulte e manifeste, brame religiose, netti punti focali di continuità, ecc. In essa siamo nati, abbiamo collocato i primi vagiti, altri codici di intime desolazioni, gli ottimismi improbabili. Così la vita è assiduamente radicata al suo suolo, secondo lo stato epocale.
Chi darà ancora corso ai trionfi dello spirito, e chi condannerà la serie pubblica dei nostri errori? Più spesso ritorna in molti di noi la follia e - in apparenza - nel medesimo ordine della serenità, un movimento di tono discreto, un lieto fine della possibile durata, ma l'emozione elabora aspetti drammatici abitando il pianeta che è l'immagine più bella, perché ci siamo nati, sebbene involontariamente, ma pur sempre devoti ad essa in ogni dove, e capaci di resistere alle perifrasi di un disprezzo o scegliere la permanenza dinanzi a qualche alterità. C'è una serie di liberi ostacoli da superare, obbligati e presenti, immanenti e trascendentali e comunque tentacoli provocatori, situazioni artificiali che via via diventano un costo assiduo della permanenza sulla terra (compresa l'atmosfera). Nessuno ha ancora spiegato il più esatto significato del restare in questo "paradiso" di eventi.
Da una solitudine all'altra ogni essere pronuncia la sua invocazione alla Giustizia, scova nei punti critici la necessaria libertà e il legame col paesaggio resta immobile e quasi ebete in cospetto alla curiosità di ognuno che s'affatica a conoscere il luogo in cui egli si trova, dall'alba al tramonto, con densa preoccupazione alcuni, con disinteresse altri. Chi mai si offrirà come guida per il viaggio che dura da secoli? E quale sarà la demagogia più sconcertante in qualsiasi esperienza? Indubbiamente esistono la ricerca per conoscere meglio o del tutto i significati della persistenza del Male e del Bene, tra ostacoli, dramatis personae che s'immergono nei fatti: casi di truffa, padroni di gatti, creatori di suspence, spazio e tempo delle consolazioni e delle visioni inconsapevoli.
La storia ha introdotto effetti crudi di repertorio civile, che la Natura aveva reso in relazione al progress dell'esistenza e quindi bloccato il percorso incalzante e spontaneo dell'uso alla vendita per speculazione edilizia. Ci sono effetti di reticenza in ogni dialogo tra persone, tradimenti, discorsi in apparenza cosmologici, in effetti ciance letali, senza controllo, pronte alla balbuzie babelica e alla caligine.
Le linee di forza e di frizione, benché si facciano aiutare dalla luna a cui la terra spesso si affida, per non restare priva di corrispondenza celeste, continuano a inventarsi uno svolgimento semantico, non cieco, tutt'altro.
La notte ha indubbiamente le sue magie, i suoni lambiscono le stagioni in cui la terra cerca se stessa, anzi modula in esse la propria situazione di attriti, i cambiamenti di irregolarità estetica. C'è inoltre una questione di gusto che dà valore alla vita e alle futilità biografiche; i sensi istituiscono una civiltà in ogni caso per tutti. A ognuno interessa la luce, qualunque siano la fonte, l'ottica parziale, le percezioni delle forme; contribuisce in modo determinante la morte, che si rappresenta varia e sommaria. Dopo ogni morte c'è una necessità di ripresa, una fede in qualcosa che fa guardare le incertezze meno di sbieco dal sistema abituale educativo, morale, poco distratto. Siamo i privati e pubblici attori di un'area enigmatica, che si elevano per soffrire di meno nello scempio storico che non lascia voce ai timidi, ai logori pregiudizi di mondo in cui l'idea di terra è sognante metafora della zolla, confine di un io leggero, narrabile posto dell'immaginario, riassuntivo cerchio di onda vitale.
Il sistema di cause della battaglia che l'uomo conduce è stabile e imprevisto, la terra lo accompagna e lo isola, lo rifiuta e lo accetta nella finta opposizione. Egli è stanco di ogni esultanza al "Nessuno" di turno e ogni impresa ha il suo bilancio difficile, non tiene fede ai calcoli già fatti. Certi anfratti mi hanno fatto scoprire una terra verde fresco e qua e là falso bordeaux, meno schiva quando sembrava provata dal temporale e i crolli delle case erano una disfatta (con alberi tra deiezioni, frane di bosco, vento agente nel clima del pericolo, altri vizi degli autunni occidentali). In troppi chiudevano l'itinerario della loro nascita, un po' prima di aver pensato a istmi di vita, alle radici alle quali si sarebbero potuti aggrappare con lo spessore degli abbagli, la flora delle acque che fluiva nella vallata scomparsa, appunto grazie all'annuncio dei lampi improvvisi. La terra così aveva distrutto le impurità della zavorra, delle cloache, ma anche era venuto meno il destino di anime in cerca di luce, di suolo efficace tra le miserie che abitualmente affliggono la realtà, le origini e i confini di una geografia. Poi ogni cosa è ritornata inerte, la pianura era sconvolta, il sentiero di collina contava le copulazioni della morte che aveva testimoniato la brevità della bellezza. C'era uno stato idiota della vegetazione che sembrava più pittoresco, diventato gioioso, perché gli uccelli avevano scovato il modo per ritornare su un ramo o una grondaia salvata dalla violenza, e i ragazzi, usciti dai loro antri1 tentavano di fondare con la casta innocenza un inno di vita, dove qualche cadavere galleggiava, lievitante tra fiumare e laghetti provvisori, nuovi dirupi costruiti dalla piena alluvionale. Un pittore aveva tradotto in allegoria visuale floscia, l'accadimento, inventando uno scompiglio di rami e di ossa, una mappa di torrenti rimbalzanti dagli intrecci di flusso equoreo. Quando si sarebbero messe a posto le cose, l'aria ormai pulita (sospettosa) avrebbe reso meno incerto il giro dei suoi ritorni e ogni Dopo.
Ma la terra non è tutta in queste fasi di habitat senza paradiso, bensì nei registri di un'infinita esposizione di eventi, i quali hanno costruito le simmetrie mondane, le distanze senza dismisure inaccettabili, diagnosi sociologiche e scientifiche. E intanto, chi ci dirà mai qualcosa sulle cose come andranno, e se una folata di scherzi plebei aiuterà l'insensata nozione di perpetuum?