"L'area di Broca", XXVIII, 73-74, 2001
TERRA
Patrizia Giovannoni
L'età dell'oro
"...ogni foto è come un ritratto mio, questa terra che mi
sta davanti è come uno specchio dove io mi rifletto.
Io sono legato a questa terra, voglio salvare lei ma insieme
voglio salvare me stesso... In queste foto regna la tristezza
perché la tristezza sta dentro di me, nel mio carattere".
Mario Giacomelli
L'uomo contemporaneo ha tradito il legame con la terra. Nonostante il sintomatico affiorare di un bisogno di recupero dell'antico rapporto simbiotico con la natura, la dinamica utilitaristica alla quale essa è stata consegnata per secoli - a beneficio del progresso - sfugge al controllo dell'uomo stesso, a sua volta oggetto dell'impiego intensivo di quanto è stato valutato inestinguibile, immutabile, incondizionatamente pronto ad omaggiare di risorse l'altare della "ready steady go economy".
L'urgenza di una riflessione può essere evidenziata prendendo ad esempio la nostra lingua, che con il lemma depressione connota un particolare stato tanto dell'essere umano che della terra. Nel primo caso si intende una deviazione del tono affettivo con conseguente abbassamento del tono dell'umore; nel secondo, un'area della superficie terrestre che si trovi ad un livello inferiore a quello della regione che la circonda (pianura, oceano). Tralasciamo altri significati e consideriamo il verbo deprimere: ridurre di efficienza, opprimere, umiliare. In ogni caso, sia nella lettura del sostantivo che del verbo, ci troviamo di fronte ad un'immagine di spostamento verso il basso rispetto alla posizione originaria, nella quale permangono invece gli elementi circostanti. La superficie terrestre, di era in era, ha provveduto a riorganizzarsi secondo il proprio ritmo assecondandone il naturale criterio di mutazione per evolvere un nuovo equilibrio. Il ciclo morte-trasformazione-rinascita ha animato il respiro dell'universo, armonizzando gli elementi - acqua, fuoco, terra e aria - con le loro creature - animale, albero, uomo. La perfezione dell'Uno ha poi dovuto fare i conti con il distacco del più stolto dei suoi componenti, che ha espulso dal Sé il significato del primitivo rapporto con la natura e rinnegato la propria Creatura per farsi Creatore.
Da allora, una depressione della superficie terrestre è destinata a soccombere all'onnipotenza dell'essere umano, che non le consentirà il diritto alla metamorfosi nei tempi e modi che le occorrono. La depressione di cui l'uomo si è reso vittima, spostando il proprio centro dalle radici allo strato più superficiale dell'esistenza, talvolta viene celata da pillole di felicità, più spesso rialza la testa, resistendo ad ogni tentativo di occultamento. La mano che guida il disegno è la solita, più insegue il benessere più si allontana dalla sorgente - nella cui chiarezza è intuibile possa specchiarsi la vera fisionomia dell'attuale mal di vivere, riaffiorare la nostalgia di un tempo perduto, remoto, di una dispersa età dell'oro, selve di simboli ove l'uomo leggeva se stesso e cementava il sodalizio con la terra.
Non è necessario - né proponibile - azzerare l'orologio del tempo. Basta ascoltare i segnali di sofferenza che l'habitat naturale invia quotidianamente, intravedere la comune malattia, percepire la via della guarigione. Durante il cammino potranno rimuoversi le tracce anche del nostro dolore autentico, ciò che la terra, senziente, ha accolto e salvato dalla sedimentazione, effuso e rappresentato nel divino mutarsi.
Al termine di questa riflessione vorrei onorare la memoria di Mario Giacomelli, che attraverso la fotografia ha saputo ricreare il connubio terra-uomo e alimentarlo di sempre nuovi significati. Grazie per la parola poetica prestata al mio sguardo di apertura.
La stessa pulsione anima la voce di un poeta che amo ricordare come ancora tra noi, con la radice salda nella terra ed il fogliame affidato agli umori di stagione: Umberto Bellintani, cui lascio la conclusione.
Sono un topo di campagna
Forse un giorno partirò dai campi miei,
dal gorgheggio delle passere di luce
per la grigia città. Me ne andrò
alle pallide ombre dei vicoli,
nella folla dei monotoni passaggi
delle ore sui viali, alla muraglia
delle case contro il cielo delle lodole.
Non avvenga. Lasciatemi all'aperto
mattino, al cammino sulle orme del passato,
alla luna ch'è la Luna al mio paese,
alla casa ch'è la Casa!
Sono un topo di campagna, sono il grillo
che nel cuore mi ricanta ogni sera
se l'ascolto dal paterno focolare.
(U. Bellintani, Sono un topo di campagna, in Forse un viso tra mille,Vallecchi, Firenze, 1953.)