"L'area di Broca", XXIX, 75, 2002
AMICIZIA / COOPERAZIONE
Alessandro Franci
Gli amici di mio nonno
A Leonardo e a Paolo
Come avrei voluto conoscervi anch'io, cari amici di mio nonno; vedervi almeno una volta. Oggi tutti morti probabilmente, chi già sul fronte, chi dopo come lui. Avrei potuto parlarvene di mio nonno e poi avremmo brindato insieme alla vostra amicizia. Voi lo conoscevate come io non potevo e anch'io, sicuramente, vi avrei raccontato cose che non avreste mai potuto sapere altrimenti. Mi ha parlato a lungo delle vostre giornate, più di una volta; tremanti e imploranti a rassicuravi l'un l'altro nel fango delle trincee, immersi nella neve o arsi dal sole. Lunghe e confuse storie di affetti e repentagli, celate e riemerse giorno dopo giorno nel rammentare quel lontano e macabro gioco con il futuro. Chi siete stati allora? Come vi chiamavate? Com'era la vostra gioventù? Il vostro coraggio e la vostra paura? Lui mi ha detto del valore e degli strazi, dei desideri e dei sogni che vi calmavano e tormentavano. Chi eravate dunque tutti quanti? Voi e lui che siete stati un tempo insieme e che insieme avete fatto storia.
Il tempo lo avrei avuto per conoscervi, almeno quelli risparmiati dalla guerra; ho saputo invece di voi soltanto attraverso i suoi racconti lenti, a volte ripetuti, con i nomi scambiati, con le imprese attribuite a qualcun altro. Ma eravate sempre voi, una volta qui un'altra là, a riempire la sua mente oscillante in un tempo che forse avrebbe voluto dimenticare, e soltanto per voi, non l'ha mai fatto.
Ricordo di te (il nome mi sfugge, oppure proprio non l'ho mai saputo) sull'altopiano della Bainsizza, con la scheggia di granata in una mano e l'altra premuta contro un masso, che gli dici:
"Ugo, lo faccio!"
Ed alzi il braccio con la scheggia stretta nel pugno. Quel dichiararlo prima però, che ti saresti tagliato le dita per sfuggire alla prima linea, era un'implorazione, una richiesta d'aiuto? Lui rise forse, come sapeva fare sempre anche nei momenti peggiori, rise e ti consigliò, alla sua maniera, di andare a quel paese; poi ti urlò severo e disperato di stare basso, altrimenti ci avrebbero pensato i cecchini austriaci a farti fare qualche giorno d'ospedale, o peggio ancora, a mandarti all'altro mondo.
Dopo l'assalto - mi disse - non ti vide più, ma io ho sempre sperato che anche tu, caro amico di mio nonno, abbia potuto raccontare tutto questo ai tuoi nipoti.
E quando salvaste il vostro amico caduto nel fiume... quale fiume, nonno? Gli chiedevo io, e lui una volta parlava dell'Isonzo, un'altra del Piave. Chi eravate nonno? Noi, i soliti; rispondeva lui. Eravate sempre voi, imprecisati, dai nomi sconosciuti; chissà quanti. Uno era svenuto e la corrente se lo portava via; lo riacciuffaste con un ramo di un albero, lo tiraste a riva che era mezzo morto.
Anche degli altri mi ricordo; quelli con cui andavi, caro nonno, sotto le finestre delle ragazze a cantare le serenate. Eravate tre o forse quattro, a camminare adagio lungo i greti, furtivi come ladri bisbigliando piano per accordarvi su quale finestra visitare per prima. O quando rubavate la frutta nei campi; oppure quando andavate a disturbare il sonno di chi dormiva.
Eravate di sicuro come lui, cari amici di mio nonno, e anch'io avrei voluto esservi stato amico almeno un po'. Mi sarebbe piaciuto sapere come si può essere felici e spiantati com'eravate tutti quanti, così animaleschi e furbi. Avreste potuto insegnarmi ad essere com'eravate: senza lamenti ma soltanto ingegnosi e pratici.
Mentre ascoltavo "il tenente Kijé" di Prokofiev, caro nonno, mi abbandonavo ancora ad altre fantasie: che avreste potuto conoscervi, per esempio; sì, tu e lui. Così, per chissà quale strampalata circostanza; in fondo lui era più giovane di te soltanto dieci giorni. Questo immaginavo, anche se so bene che mentre tu suonavi serenate col mandolino per le strade buie delle periferie polverose, lui già dava i suoi concerti; quale contorta riflessione mi portava a ricucire una simile fantasticheria... voi due amici! Non sarebbe stato possibile: lui in una perduta città della vastissima Russia e tu qui nella minuscola periferia di Firenze. Eppure per longitudini e latitudini che avrebbero potuto incrociarsi in un punto qualsiasi del Globo tu lo avresti potuto incontrare, avreste legato subito e sarebbe stato tuo compagno di ventura, tuo amico nel bene e nel male. Chi sarebbe stato lui se fosse vissuto qui? Chi tu se fossi nato là? Le distanze incolmabili della realtà invece, già a vent'anni vi avevano allontanati a tal punto che lui nell'11 vinse il primo premio al concorso Rubinstein, e tu t'imbarcasti per l'Africa, perché in Italia, anche se non per tutti, le cose andavano male.
Ma si fa così, solo per divertirsi a cercare coincidenze là dove non ce ne sono, a far convergere due parallele, cercando di immaginare cosa sarebbe accaduto se quello che è stato, fosse andato in altro modo.
Anche se senza saperlo, caro nonno, tu e Musil vi siete fatti la guerra; per fortuna nessuno dei due ha colpito l'altro. Ma pensa cosa sarebbe stato se tu avessi avuto la possibilità di incontrarlo casualmente sul Carso, senza una guerra d'intorno, senza un nemico?
Con chi avresti potuto festeggiare oggi? Con chi nonno, con Musil, Prokofiev? Oppure con quelli persi negli assalti?
Quando tornasti lassù che eri già vecchio, ti finivi gli occhi per leggere un nome conosciuto sulle lapidi, ma forse era come se ognuno fosse stato un tuo amico, perché ti sembrava di ricordarteli tutti. E con ognuno di loro avresti voluto far festa per quell'incontro, che però avveniva in due mondi diversi; più o meno come le fantasie che mi avevano preso ascoltando Prokofiev, o come le altre che avevano alimentato il desiderio di vedermi con i tuoi amici.