"L'area di Broca", XXIX, 75, 2002
AMICIZIA / COOPERAZIONE
Giovanni R. Ricci
De (vera) amicitia
Il macellaio Proietti, voce narrante d'un racconto di Alberto Moravia, Quant'è caro, ha una particolare idea di quando si possa parlare di vera amicizia: "Dicono che gli amici si vedono nelle difficoltà (...). Sarà. Ma io penso che l'amico ci trova il tornaconto ad aiutare l'amico nel bisogno; non foss'altro per il sentimento di essere dappiù di lui. Io dico invece che gli amici li vedi nella fortuna, quando le cose ti vanno bene, e l'amico rimane indietro e tu vai avanti e ogni passo avanti che fai è per l'amico come un rimprovero o addirittura un insulto. Allora lo vedi, l'amico. Se ti è veramente amico, lui si rallegra della tua fortuna, senza riserve (...). Ma se non ti è veramente amico, il tarlo dell'invidia gli entra nel cuore e glielo rode in modo che presto o tardi non resiste più e te lo lascia vedere. Eh, è più difficile assai non essere invidioso dell'amico fortunato che generoso con quello sfortunato. E l'invidia è come una palla di gomma che più la spingi sotto e più ti torna a galla e non c'è verso di ricacciarla nel fondo" (Nuovi racconti romani, Milano, Bompiani, 1961, p. 179). A quest'opinione piuttosto originale il Proietti, cui gli affari vanno sempre meglio, è pervenuto in virtù dell'atteggiamento del suo amico Arturo che, dinanzi a tali successi, fatica a nascondere che sta schiattando di bile. Infine, quando Arturo, invitato con la moglie a cena dai Proietti, vede il nuovo appartamento che questi hanno acquistato, il suo astio viene inevitabilmente alla luce. Ne nasce così un alterco che segna la fine di una (falsa) amicizia ma mentre Iole, moglie del Proietti, afferma cinicamente che "i soli amici veri sono i quattrini" (op. cit., p. 185), il marito si rammarica di non aver saputo nascondere la propria fortuna perdendo così l'unico amico che aveva: considerazione in apparenza contraddittoria rispetto al punto di vista sull'amicizia da lui esposto in precedenza ma che vuole esprimere il concetto secondo cui, per taluni, può essere meglio un falso amico (o, se vogliamo, un amico a metà) piuttosto che nessun amico.
C'è stato un solo successo nella vita dei Proietti che non abbia generato l'invidia di Arturo: la nascita di un figlio. Anzi, egli si dimostra molto affettuoso nei confronti del bambino e del tutto amicale nei riguardi dei genitori. Di tale eccezione il Proietti si stupisce.
Non so se Moravia condividesse il punto di vista del suo personaggio. Sta di fatto che il criterio posto dal macellaio Proietti per distinguere l'amicizia vera da quella falsa è riscontrabile in vari esempi reali e risponde sostanzialmente alle acquisizioni delle più aggiornate teorie psicologiche.
Come ho avuto occasione di ricordare altre volte su queste pagine, il nostro comportamento sociale si fonda su una serie di motivazioni ereditate per via genetica, finalizzate alla sopravvivenza individuale e della specie, e che comunque l'esperienza può modificare e alterare. Consideriamo, per fare un esempio di particolare chiarezza, la fame, che è una motivazione individuale (non sociale), necessaria in modo assoluto per la nostra sopravvivenza: ma un politico che fa lo sciopero della fame o una persona che segue una dieta o un'altra che mangia assai più del necessario 'utilizzano' in un modo personale e non stereotipato quello che è un fondamentale impulso biologico (senza considerare i quadri patologici connessi alla fame - anoressia nervosa e bulimia nervosa - alla cui origine stanno sia componenti genetiche sia patogeni fattori ambientali). Nell'amicizia, quella vera, entrano in gioco tre motivazioni sociali: l'attaccamento, cioè la tendenza ad aspettarsi, soprattutto da una figura affettivamente significativa, un sostegno (specialmente emotivo) quando se ne ha bisogno; l'accudimento, che è la risposta al bisogno di attaccamento di qualcuno; la cooperazione paritetica, ossia l'elaborare progetti e il porre in atto iniziative insieme ai fini del conseguimento di scopi condivisi. In un'amicizia equilibrata la cooperazione dovrebbe prevalere rispetto all'attivarsi degli altri due, pur necessari, sistemi motivazionali; un'amicizia costantemente sbilanciata sui versanti dell'attaccamento da un lato e dell'accudimento dall'altro non diviene per questo falsa ma certo squilibrata, simile più al rapporto fra un bambino e una figura genitoriale o fra un paziente e il suo psicoterapeuta.
Quando però nell'amicizia si insinua una quarta motivazione, quella detta agonistica, che regola il rango (ovvero il livello d'importanza di un individuo all'interno di un gruppo), accade che le altre motivazioni, a partire dalla cooperazione paritetica (il sentirsi alla pari), vengano meno (o passino in secondo piano) e l'amicizia in effetti non possa più dirsi davvero tale. Il problema è che, come osserva il personaggio di Moravia, non è facile accorgersi subito se un'amicizia è reale o no: una mia cara amica che prima svolgeva un lavoro d'impiegata comunale che non le piaceva ed ora è con successo psicologa come aveva sempre desiderato, ha colto chiari segni d'invidia in alcune sue 'amiche' che le erano state anche molto vicine quando potevano percepirla, dal punto di vista della realizzazione professionale, come insoddisfatta e, proprio per questo, in certo modo inferiore - o comunque non superiore - rispetto a loro (i concetti gerarchici di "inferiore" e "superiore" sono tipicamente inerenti alla motivazione agonistica). Non tutti i suoi amici e amiche si sono però comportati così. Del resto anche le parole del moraviano Proietti non negano affatto che l'amicizia vera ci sia ma sottolineano come, anche in questo settore dell'esperienza del vivere, non sia tutto oro quel che luccica. Fra l'altro il sostegno all'amico nel bisogno può derivare sia da un impulso all'accudimento (vera amicizia) sia, come dice il Proietti, dalla sensazione "di essere dappiù di lui", ove - come si è visto - entra potentemente in ballo la motivazione agonistica e dunque non si tratta più di effettiva amicizia. È vero insomma che la cartina di tornasole di questo sentimento la si ha proprio quando le cose ci vanno bene.
Resta da spiegare la mancata invidia di Arturo alla nascita del figlio dei Proietti. Ciò dipende verosimilmente da due fattori: può essere in gioco la motivazione all'accudimento (che la visione di un bambinello dovrebbe di regola attivare); ma soprattutto conta il fatto che Arturo ha già dei figli. Se non ne avesse avuti, anche quest'evento avrebbe probabilmente suscitato la sua tendenza all'invidia. Del resto antropologicamente l'avere figli ha spesso costituito una vera e propria forma di potere.
Un'idea dell'amicizia analoga a quella del macellaio Proietti caratterizza, per limitarmi a un secondo esempio e rimanendo al volume in questione, anche un altro personaggio dei Nuovi racconti romani di Moravia: mi riferisco al Gigi di La riparazione secondo cui l'amico che - appresa una brutta notizia che ci riguardi - ce la fa subito sapere "col pretesto di metter[ci] in guardia o di assicurar[ci] che lui ha preso le [nostre] parti (...) è un amico per modo di dire, un amico che in fondo ci gode a vederti inguaiato, un amico che vuole divertirsi alle tue spalle senza per questo perdere i vantaggi della tua amicizia" (op. cit., p. 211). In questo caso la motivazione agonistica del falso amico si fonda su una sensazione non di inferiorità (come nel caso dell'invidia) ma di gratificante superiorità similmente al citato caso di chi tragga appagamento agonistico dall'aiutare un amico in difficoltà. Gigi enuncia la sua convinzione senza ammettere eccezioni - e certo il finto amico Prospero troppe gliene ha fatte - ma anche qui possono sussistere circostanze in cui informare un amico di qualcosa di negativo che lo riguardi può rappresentare una necessità indotta dalle motivazioni dell'acccudimento e/o della cooperazione.