"L'area di Broca", XXIX, 75, 2002
AMICIZIA / COOPERAZIONE
Aldo Rosselli
Scenario (forse apocalittico) della narrativa contemporanea
Non essendo ancora il critico - almeno si spera! - o magistrato o procuratore, egli dovrà attenersi (malevolo o benevolo che sia) a un soggettivo sorvolo da entomologo. Nel 2002, guardandosi alla spalle il densissimo, perigliosissimo secolo Duemila, cercherà di assumere anch'egli come déja vu o "stupidario" alla "Bouvard et Pecouchet i mille volte reiterati ricettari circa il massmediatico e la malvagia giungla dell'editoria. Più le favole più reali del re intorno al letale tuffo nel mondo dello spettacolo della parola tutta, narrativa oltre che poetica.
Posto, inoltre, come dato ineludibile che la letteratura italiana si trova nel mezzo di una decadenza mai finora vissuta, il discorso si fa malinconico, persino tetro. Chi o che cosa si salva, tra linguaggio, espressività, testimonianza sui versanti dell'interiorità e/o del sociale? Molto e niente al contempo. Alcune, poche voci tra loro isolate; dei talvolta inesplicabili exploits che ancora ci illudono, forse, o ci fanno sperare. Anche qui, probabilmente, sarebbe meglio non soffermarsi sull'anagrafe. Tuttavia, in modo pazzamente incompleto, qualche nome andrebbe fatto, se non altro per non sfuggire a un proprio sballato rischio...
Tra i cosiddetti anziani non mi sento di poter tacere intorno alla fatica pluridecennale di un La Capria e anche, certo a livello non minore, di un Pontiggia. Così come, tra le decine di migliaia di giovani, non è lecito sorvolare sulle prove del veneziano d'adozione Del Giudice. Si dirà: aghi nel pagliaio. Ma non è proprio così, anche se indubitabilmente gli omessi, a livello più o meno significativo, potrebbero essere innumerevoli. Azzardo, quindi, ma non azzardo puro. Altrimenti incomberebbe il pericolo di assemblare l'elenco del telefono. Moltissimi talenti, certo, brillantezza anche, col rischio ulteriore, nonostante le apparenze, di tuffarsi nelle ormai archeologiche sociologie della letteratura, delle filologie comparate.
Né si può negare che, nonostante tutto, il livellamento verso l'alto della scrittura è un dato di fatto. Non disgiunto, comunque, dall'eterno manierismo italico (spesso nei più svariati modi camuffato) e in più da vari dosaggi di cifrari del post-moderno tappabuchi. Di qui deriva, oltre che per questioni di letteratura, che il senso generale della nostra cultura da decenni continua a calare, se non, più drasticamente, a precipitare.
Debbo esibire cartine di tornasole sul polposo tutto e in particolare a proposito della diseredata narrativa? Non vorrei essere costretto a farlo, probabilmente essendo anche impotente all'uopo. Sta tutto, ad ogni modo, drasticamente di fronte a noi tutti, stagliato con plastica evidenza. L'aria che aleggia intorno a noi, ai nostri corpi e ai nostri spiriti né concordo, anche se sotterraneamente. Scomparsa di valori ed ethos costituiscono l'emblematico sigillo di ciò che ci è venuto a mancare. E il soffocante "smog" che aleggia sopra le pagine anche le più astute della nostra narratologia costituiscono l'inespressa vergogna che obbliga alcuni di noi a una colpevole - perpetua - insonnia.
Cenni di freudismo a parte, pesante come il piombo sorge l'imbarazzante omologazione che ci confrorta dalla pagina scritta, dalle inutili acrobazie della scrittura. Accontentiamoci di vincere un premio, dai più notori a quelli più pateticamente modeste e potremo continuare ad illuderci di animare una società letteraria. Privata di quella "realtà". Senza la quale anche la narrativa rimane un guscio vuoto, potenzialmente "virtuale".