"L'area di Broca", XXIX-XXX, 76-77, 2002-2003
CONTRO
Matteo Re
Terrorismo: contro o a favore?
(Quando lo scontro si trasforma in appoggio)
Dal punto di vista ipotetico, il black out sarebbe stato il massimo dei danni per noi. Un fenomeno come quello del terrorismo che, in un Paese del capitalismo avanzato, non può avere uno sviluppo di massa, può avere sì una dimensione di massa di pura rappresentanza, attraverso i mass media. Tu misuri il rapporto con le masse dallo spazio che occupi sui mass media" 1. Così, l'ex brigatista Alberto Franceschini considerava la funzione dei giornali e dell'informazione durante il periodo più buio della nostra repubblica, durante i cosiddetti anni di piombo.
Un altro ex terrorista, Alfredo Buonavita, riteneva il ruolo dei mass media "fondamentale nella storia delle Brigate Rosse perché amplificarono le loro gesta, anche se spesso si trattava di banalissime azioni armate" 2.
Accanto a queste dichiarazioni ci sono i numerosi giornalisti gambizzati o uccisi durante gli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta dalle BR. Una lotta contro lo Stato e contro le sue istituzioni, che però ottenne un insolito aiuto dal sostrato cui si opponeva, senza il quale il potere di contrasto e di dissenso del gruppo armato avrebbe perso ogni energia endemica.
Il terrorismo, qualsiasi terrorismo, non soltanto quello a noi più noto, si radica sul contrasto dicotomico tra due fattori coincidenti: ciò contro cui esso lotta e ciò senza il quale non potrebbe lottare. Risulta ovvio che un movimento eversivo non avrebbe ragione d'essere se non esistesse lo Stato. La sua lotta sarebbe vana, perché è proprio contro lo Stato che si proietta.
Ciò che risulta tuttavia curioso e degno di qualche approfondimento è il paradosso che deriva dall'aiuto che involontariamente Stato e terrorismo si concedono per aumentare il loro potere. Il contrasto diviene complicità che aumenta la prerogativa del contrasto stesso. In sé, i due opposti si alimentano dall'esistenza di questo scontro, apportano un mutuo sostegno alla lotta dell'altro e da questo dipendono in maniera palese. Dopo un'azione terroristica, lo Stato, che dovrebbe soffrire un duro colpo sia dal punto di vista della credibilità, sia da quello della sicurezza, in realtà ne esce quasi sempre rafforzato dall'atto di condanna che il singolo cittadino fa pubblicamente. In questa maniera la contrapposizione si spezza e perde la sua validità perché rientra nel gioco del potere cui si oppone. Il terrorista che lotta contro lo Stato finisce con l'aiutarlo. Dal canto suo, lo Stato, una volta entrato in questo gioco grottesco, paradossalmente diventa debitore al terrorismo. La sua potenza non schiaccerà il nemico in toto, ma lo lascerà attuare sotto il suo controllo, per utilizzare questo conflitto come arma di propaganda.
La stampa e la televisione sono le principali armi di diffusione del potere, e in un Paese in cui vige lo stato di diritto questi non possono occultare un'informazione di questo tipo, anche se basterebbe questo gesto per minare seriamente la lotta clandestina. Senza la pubblicizzazione delle "gesta" armate sparirebbe anche il senso dell'attentato stesso, dell'opposizione a chi non ti dà più spazio e ti oscura levandoti quella divulgazione che è fondamentale per la tua esistenza. Immaginiamo che improvvisamente non si passasse più alla cronaca nessun'azione terroristica. Il terrorismo ne risulterebbe gravemente danneggiato perché uscirebbe dal nostro quotidiano. È vero che ciò che non si conosce incute timore, ma è altrettanto vero che ciò che si conosceva e che improvvisamente ha perso un contatto diretto con noi, si dimentica. Gli ultimi attentati a Biagi e D'Antona dimostrano che le BR non sono mai scomparse dall'Italia in maniera totale, che non sono mai state realmente sconfitte, che però sono state dimenticate perché non hanno più fatto rumore per anni.
Ciò che è avvenuto negli Stati Uniti e avviene tuttora (n.b.: articolo scritto il 23/02/03), è l'immagine più nitida di come un movimento terrorista sia riuscito a rafforzare, per lo meno idealmente, l'obiettivo che ha colpito. Gli americani dopo l'11 settembre hanno ritrovato un senso patriottico che forse mai avevano sviscerato in una maniera così salda. Gli attentati alle Torri Gemelle hanno evidenziato le lacune difensive del più potente Paese del mondo, però hanno anche unito un popolo che l'offensiva aveva intenzione di sgretolare.
Ciò che si era prefigurato come un atto estremo di avversione, ha apportato, in una fase successiva, delle conseguenze di appoggio e di rinvigorimento di ciò che doveva combattere. Gli Stati Uniti hanno poi utilizzato abilmente la tragedia che hanno affrontato, per farsi paladini di una guerra al terrorismo che li proietta verso una continua crescita militare, politica ed economica.
I paradossi non si esauriscono qui. Il terrorismo potrebbe favorire il rafforzamento di uno Stato debole e il consolidamento di uno forte. La campagna politica di ogni partito appartenente a una nazione minacciata dall'eversione attuerebbe una propaganda avversa alla lotta armata per ottenere voti "facili". Allo stesso tempo, un Paese su cui incombono problemi sociali ed economici gravi potrebbe indirizzare i suoi malumori nel canale di sfogo di più ampia suggestione, il terrorismo. In questa maniera il singolo cittadino si sentirebbe protetto dal suo governo che appoggerebbe in maniera incondizionata.
L'Italia conosce bene l'instabilità dovuta all'azione armata. Con il sequestro Moro questa precarietà arrivò al suo apice. Con il ritrovamento del cadavere l'insicurezza che percorse gli italiani per 55 giorni si trasformò in rabbia e coesione con lo Stato e la sua lotta al terrore.
Il risultato curioso è che i due poli opposti si attraggono, eliminando quel senso di avversione reciproca che sarebbe normale in una fase in cui il conflitto è armato. L'avversione e l'appoggio coincidono in una sintesi dialettica tra bene e male. In cui il male è complementare del bene e il bene, per affermarsi, si appoggia al male. La linea dominante in una tale situazione porta alla disgregazione del contrasto tra i contrari.
1 Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, RAI (VHS), 1989.
2 Ibid.