"L'area di Broca", XXIX-XXX, 76-77, 2002-2003
CONTRO
Adam Vaccaro
Contro la disgregazione
(15 maggio 2003)
Nel novembre 2002 ci vediamo a Napoli con Anna Santoro (scrittrice e presidente dell'Associazione Araba Felice) e altri autori inseriti nel CD di poesia e musica Guerra, da lei realizzato. Il CD viene presentato in alcune scuole ed è l'occasione per sviluppare contatti molto vivi. Entro tali scambi Anna propone a me e a Maria Jatosti (di Roma), di allargare a livello nazionale l'esperienza della Carovana di poesia, da qualche anno ideata e messa in atto nel Napoletano tramite l'Araba Felice. L'intento è di proporla e realizzarla in occasione della Giornata mondiale della Poesia del 2003.
In dicembre il progetto della I Carovana Nazionale di Poesia e Musica, promosso e coordinato da Anna, Maria e me, prende corpo: Napoli, Roma, Milano e possibilmente Firenze e Bologna. Cinque città da collegare nell'arco di 12 giorni (dal 21 al 31 marzo 2003) con manifestazioni in cui almeno alcuni degli aderenti si spostino da una città all'altra, scambiandosi esperienze creative e di vita, sviluppando riflessioni e relazioni nuove, a partire dalla tematica della guerra. Il senso complessivo è sintetizzato nello slogan coniato: per la vita, la pace, la bellezza, il gioco, la dignità, il rispetto, per tutto ciò che la guerra nega. Vengono naturalmente coinvolte sia l'Araba Felice che Milanocosa, l'Associazione culturale presieduta da me.
L'idea di fondo della Carovana: dare voce al rifiuto della guerra, ma a partire dal tipo di relazioni in cui siamo. La guerra comincia da qui, dalla nostra incapacità di con-vivere con l'altro e la sua diversità, individuale o di gruppo. Molte volte l'impossibilità di relazione può venire da persone che sono blocchi ideologici inamovibili, o soggetti divisi tra fame d'amore e calcoli di convenienza, interessati solo a se stessi. Varie tipologie che non consentono relazioni affidabili, che producono disincanto e distacco, dolore e riduzione di speranza.
La speranza resiste in quei momenti in cui riusciamo a costruire la magia di un incontro oltre la maschera. Il fare poetico è questo, altrimenti non è (poesia). Porlo allora, nell'occasione della sua festa, in rapporto a ciò che fa l'opposto, vuol dire ricondurlo al centro del suo senso, se non delle sue origini, quale forma di racconto epico.
Nel gennaio 2003, mentre si intensificano i tamburi di guerra che Bush dice di volere contro il mostro Saddam, diffondiamo i primi comunicati di lancio dell'iniziativa. Le adesioni (di singoli, associazioni, istituti di cultura, enti pubblici) cominciano a fluire, con condivisione del senso della Carovana: convogli che si aggregano per fare insieme un percorso di moto fisico e mentale, da cui trarre una maggiore conoscenza tra i partecipanti, e tra questi e l'ambiente attraversato. È la scommessa più difficile di questa iniziativa. Andare al di là di incontri affollati ed effimeri, oltre le preoccupazioni di apparire, sviluppando rete di relazioni e qualcosa che possa rimanere.
Insieme alle adesioni si manifestano riserve di poeti più o meno noti. Sono anche preoccupazioni di basso livello: persino vecchi amici con storie di "impegno" alle spalle, temono ammucchiate in cui la propria figura non risplenda a sufficienza; altri aderiscono, ma preferiscono non coinvolgere altri, dicono di temere il caos e di aver bisogno di riflettere in pace a casa propria.
Altre indicazioni (alla fine coincidenti con la borghesissima pace di farsi i fatti propri) vengono da rivoluzionari poeti-poeti: i poeti si chiudano in casa a scrivere! riserve sono poi motivate da Grandi Delusioni o Grandi Teorie: queste manifestazioni sono inutili, ho già fatto queste cose e non è successo nulla, tanto la guerra ci sarà comunque. Altri ancora, scevri da meschinità, ma condizionati da concezioni estetiche, dicono che non si può imporre un compito alla poesia, che è se rimane libera e non ancella di questa o quest'altra idea; alla domanda, se può esistere poesia senza una visione di idee, convengono che tutto dipende da come nella forma concreta viene fatta agire questa o quella idea, se produce falsa coscienza e dunque ideologia, o nuovo splendore della mente. E allora? Da altri, su versanti opposti, ricevo proposte vecchie e improponibili: il progetto dovrebbe essere occasione di corpose riflessioni sulla guerra in generale e sull'attuale stato di guerra in particolare; insomma consunte concezioni di impegno, poesia che si carica sulle spalle e salva il mondo.
A livello internazionale, dentro e fuori l'ONU, esplodono contraddizioni e divisioni tra interessi diversi. Crescono anche le manifestazioni a favore della pace, organizzate da associazioni di base e movimenti spontanei, mentre la Sinistra parlamentare è divisa, supina e incapace di rappresentarci. In Internet girano continui appelli, spesso solo bufale di rete, e bandiere della pace vengono stese ai balconi. Ma niente riesce a fermare l'alito della guerra voluta dai petrolieri americani. Ho attacchi di nausea, rabbia e senso di impotenza, sentendo nominare Dio o vedendo sventolare la bandiera della libertà dai Bush e dai Berlusconi. Tuttavia, il grande lavoro di coordinamento richiesto dalle crescenti adesioni alla Carovana stanca e al tempo stesso cura.
Intanto in febbraio diventano molte anche le presenze prestigiose, così alcuni inizialmente pieni di dubbi vengono folgorati e chiedono l'adesione. Ma registriamo pure altro, piccole questioni di bottega che emergono qua e là. Insomma, tensioni aggreganti che resistono in mezzo al pulviscolo della Disgregazione prevalente in cui siamo. Il dito-sonda posto da questa esperienza nell'attuale ampio numero di poetanti non può che replicare quello che accade in generale: mille posizioni e raggruppamenti, di potere e no, meschinità e nobili intenti, di cui è fatto anche l'insieme storicosociale che si occupa oggi di poesia.
Le esperienze della Carovana e alcune letture continuano a farmi riflettere su questa immagine della Disgregazione, che mi sembra adeguata all'attuale situazione generale. Se la Destra incarna perfettamente tale spinta, la Sinistra è incapace di costituire un movimento unitario di resistenza: a livello di organi dirigenti e di singoli prevalgono piccoli calcoli personali. Leggo sulla rivista Il giuoco d'assalto di Bologna, curata da Salvatore Jemma e Roberto Roversi, un articolo di quest'ultimo intitolato La sinistra sinistrata, che analizza la grottesca disgregazione della Sinistra, non guidata/malguidata da alcuni sergenti che litigano tra loro. Ma la colpa non può certo essere riversata solo su questi ultimi.
In ogni vicenda umana, singola o collettiva, anonima o paradigmatica come quella di Cristo, c'è un momento in cui ci si sente o si viene traditi da qualcuno che dovrebbe incarnare le attese investite. Il senso di vuoto e di annullamento che viviamo in quel momento può essere superato solo da un cambio di prospettiva, vuol dire che i punti di riferimento precedenti sono inadeguati e dobbiamo tradirli a nostra volta, per poterne cercare altri.
Per fortuna si manifestano varie forme di movimenti dal basso di ricerca di aggregazione, su valori umani che ci chiedono di resistere. La qualifica sempre più nebulosa negli ultimi anni di destra o di sinistra (felice ironia di Gaber!) passa oggi ancor più, non tanto dai residui ideologici professati, quanto da comportamenti concreti che assecondano o meno le tendenze disgreganti in atto, a livello di stati, di formazioni sociopolitiche, di singoli.
La nostra interpretazione della giornata mondiale della poesia ha scelto di misurarsi su una corda di non facile equilibrio: da un lato non disgiungere la libertà del gesto di scrivere dal suo senso etico-civile; dall'altro ripensare anche i limiti e la qualità del nostro fare, tentando di favorire nelle letture in pubblico modalità e occasioni di una maggiore presenza della poesia nel corpo sociale, più che momenti di presenzialismo dei poeti. Impossibile riuscire completamente in tali intenti. Ma mi sembra importante provarci. È comunque una ricerca problematica che genera posizioni diverse e discussioni stimolanti tra i poeti. È successo anche all'interno del gruppo di essi che aderisce a Milanocosa.
A cominciare da Anna Santoro e Maria Jatosti, compagne dell'impegnativo coordinamento nazionale di questa avventura, la Carovana tende a qualificarsi con un'impronta molto femminile; sono infatti soprattutto le donne che, singolarmente o in gruppi, hanno dato impulso con entusiasmo e passione civile all'iniziativa, facendo da referenti organizzativi in quasi tutte le manifestazioni locali. Sottolineo questo aspetto, pur senza alcuna impropria generalizzazione, perché atteggiamenti ambigui e piccoli calcoli personalistici sono apparsi sia in uomini che donne.
Mentre la guerra di Bush è ormai prossima, continua incalzante e fluviale la crescita di adesioni e collaborazioni alla Carovana. Sono adesioni che vanno molto al di là dei poeti e dei musicisti, coinvolgono attori cantanti registi artisti visivi operatori culturali ecc, e esprimono bisogno di aggregazione per ritrovare insieme il valore delle specificità e della stessa libertà di espressione individuale, all'interno di una misura umana comune non alienata. Sono adesioni che tendono a dare dunque alla parola pace una ricchezza di sensi che non si esaurisce in un generico e ideologico pacifismo.
Oramai ai primi di marzo le città aggregate alle prime 5 e coinvolte dalla sequenza di manifestazioni sono 25, da Palermo a Trieste, da Lanciano a Padova, da Chieti a Forlì, da Ascoli Piceno a Modena, Brescia, Sasso Marconi, Novi Ligure ecc., spesso con più manifestazioni nella stessa città. Molte le Amministrazioni pubbliche che danno contributi e le riviste, sia su carta che on-line, che collaborano. Il lavoro di coordinamento nazionale è pesante, ma ci ripagano i risultati e le tante testimonianze di apprezzamento. Queste restituiscono energia non per vanità, ma perché ci fanno sentire presenti in altri. È l'unico modo che conosco per contrastare nella sua genesi quell'effetto collaterale della guerra, che è di generare uno stato di angoscia e prostrazione anche in chi la vive da lontano. Angoscia che, dai messaggi che ricevo, pare ancora più acuta proprio in coloro che pensavano di stare in pace in casa.
Il 20 marzo parto per Napoli, dove il 21 inizia la serie di manifestazioni, che si concluderà il 31 marzo a Milano. E quasi come un appuntamento viene dato il via anche ai bombardamenti americani contro l'Irak. Siamo dunque in piena guerra mentre si snoda la sequenza delle manifestazioni che sono in genere vive e ricche, anche di pubblico. Io seguo quelle di Napoli, cui partecipano in modo vivacissimo ragazzi delle scuole superiori, poi quelle di Roma, di Firenze, Modena, Bologna e Sasso Marconi, prima di rientrare a Milano con Anna Santoro per la manifestazione conclusiva del 31 marzo, che si svolge presso la Fondazione Mudima, prestigioso centro di mostre d'arte.
Non manca qualche nota stonata, come nel caso di una delle manifestazioni romane (presso la Biblioteca Alessandrina dell'Università), dove ci viene impedito di esporre la bandiera della pace. Ragioni? il burocrate dice: ordini superiori, non è stato mai fatto. Raccolto dunque l'avviso di Berlusconi: attenti, quelli che manifestano per la pace sono pericolosi.
Anche la serata conclusiva al Mudima, organizzata da un gruppo di lavoro di Milanocosa, è all'altezza delle manifestazioni che l'hanno preceduta e del carnet di qualità: poesia, musica, danza, video e interventi teorici. Di particolare soddisfazione è l'elevata partecipazione di pubblico, nonostante la gran parte dei mezzi di informazione non ci abbiano dato alcun aiuto, concentrati come sono a dare attenzione e spazio alla guerra.
A questo riguardo, l'aspetto più grave è la subdola ideologia di guerra che emanano notizie e commenti, anche quando sembrano criticarla. Leggo ad esempio su un giornale (di sinistra!) a proposito di uno degli "errori" dei bombardamenti, quale è stata la strage di civili compiuta in un mercato. Il commento è: la faccia sporca della guerra; il messaggio implicito è che ci possa essere una faccia pulita di quest'ultima.
Poco dopo la conclusione della Carovana, trionfalmente, l'elefante vince contro la formica: la guerra in Irak diventa un capitolo chiuso. Di armi chimiche e di Saddam (per i quali, ci hanno detto, si è fatta questa guerra), nessuna traccia. Ma Bush già avverte la Siria di stare attenta. E il Segretario di Stato (Powell) dice alla Francia: pagherete caro il vostro mancato appoggio! La guerra in Irak è finita, ma la guerra (infinita) continua. L'Impero ne ha bisogno. Ai balconi resistono, un po' sgualcite, alcune bandiere della pace.
Dall'adolescenza non sono credente, ma capisco l'esigenza di pregare, e a mio modo prego anch'io, la poesia è anche questo. Inventare gesti di comunione entro questa cosa (e sotto il potere) in cui ci è dato di vivere, che tradisce la vita e qualunque idea di Dio, che chiede anche a noi di tradire tutto ciò che a parole parla di vita e nei fatti la tradisce: l'unica possibilità è di continuare a cercare nell'orrore del suo progetto di niente, le possibilità di un altro progetto.