"L'area di Broca", XXX-XXXI, 78-79, 2003-2004
Cinema / video / TV
Massimo Liverani
Il cinema di Andrei Tarkovskji,
Artem’ev, Cage, futurismo e Joseph Beuys
(Le suggestioni di questi artisti mi accompagnano spesso, è quasi una ossessione per me)
Un giardino abbandonato,
il profumo dell’erba,
lo stormire silenzioso di una ventata che si insinua
tra le foglie.
F
o
t
o
g
r
a
m
m
i del film ‘S t a l k e r’ mi passano davanti:
Land Art sotto forma di film.
La stupenda musica di Artem’ev mi accompagna.
E’ un viaggio iniziatico, un sogno, è tutto quello che mi piace.
E’ il posto delle fragole, è quello che vorrei essere e, forse, quello che realmente sono.
Queste riflessioni mi sono state suggerite anche leggendo di John Cage. Del suo modo di concepire il suono. Sicuramente sarà difficile continuare a fare musica dopo di lui. Il grande nulla.
Lasciare che i suoni siano se stessi. Potrebbe sembrare un atteggiamento un po’ distaccato ma in realtà non lo è, è rispetto, rispetto per quello che ci circonda: IL SILENZIO NON ESISTE! io compositore ricerco la vera natura dei suoni per fare in modo che loro filtrino attraverso di me e rimangano puri, incontaminati.
Sacerdote dell’ acustico io li evoco e li temo.
Ne riconosco il valore e la potenza.
Non mi troveranno distratto ed insensibile ma pronto e sveglio… alive and kicking!
Sembra dire: anche la morte mi troverà vivo e sveglio e forse così è stato veramente quando il suo amico rientrando a casa lo trovò morto sul pavimento in cucina. Stava probabilmente preparandosi qualcosa da mangiare, come vaceva sempre, infatti lui mangiava solo cose che si preparava da se.
E’ come se proclamasse l’uguaglianza dei suoni.
Il comunismo acustico di Cardew.
Perché la musica deve essere superiore al rumore?
Anche gli stessi futuristi nonostante le foghe interventiste e fasciste avevano già ipotizzato questo, anche se diversamente: una specie di messa al bando della musica passatista vista come una cosa da deboli, femminucce, attuata in forma volutamente becera, ma anche snob e, in certi casi, anche violenta.
Tutun tutun tutun tutun tutun tutun sctutun tuntun scrtu tutun tutun tantan tutun tutun tutun tutun scosco sco tutun tutun sco sco co co sco swish co tutun tutun sco sco so co swish swishsco..
E’ il carrello del film che porta i tre verso la zona,
quegli sguardi,
i pensieri…
sembra vederli i pensieri.
E’ una scena che dura quasi dieci minuti ma potebbe durare all’infinito. C’è tutto lì dentro.
E’ godimento puro. Solo il rumore del carrello che cambia, si trasmuta mentre penetra lentamente nella zona. E’ di una semplicità disarmante ma di una bellezza terribile.
Solo suoni. Non c’è effettivamente bisogno di altro. E’ cinema vero: immagini e suoni. Le parole falliscono, come recitava un testo dei Redox, il suono no, non può fallire perché ci arriva diretto, non passa attraverso il media del linguaggio. Colpisce zone antiche e remote del nostro cervello e suscita senzazioni ancestrali, come se annullasse il tempo. La memoria torna a galla, riemerge.
E tutta quell’acqua!
misteriosa e trasparente…
Ma talvolta dirompente ed impetuosa!
La scena di quando sono nella parte ‘asciutta’ e c’è quel vecchio lampione dietro a loro che cigola, un cigolio parlante, quasi un messaggio, è come se volesse dire che questi posti sono in effetti vivi
E la zona è viva, è senz’altro vita ma di un tipo misterioso. Una specie di organismo globale un pesaggio che si è fatto essere vivente, che comunica attraverso i suoni, si sempre i suoni torniamo sempre lì.
Anche la meravigliosa scena del pozzo dove è l’autore stesso che parla e ci dice parole che ci riempiono di bellezza: La forza è niente, la debolezza è potenza. Dove si riscontra sicuramente un cristianesimo riaffiorante di ‘pensiero debole’ diremmo oggi ma profondamente umano e palpitante.
La carrellata sui particolari sommersi
Vicinissima all’acqua
L e n t I s s I m a …
Tutti quegli oggetti, un siringa, vecchie fotografie, un’arma, dei soldi, ogni oggetto è un simbolo. il pavimento sotto, di vecchia graniglia. Cito a braccio forse posso anche sbagliarmi ma infondo non importa sono le sensazioni che mi porto dentro a contare.
La solitudine dello Stalker quando comunica con La Zona.
Riverso sul Prato, immobile, in silenzio.
La Zona
MA non propriamente riverso, sprofondato, immerso nella Zona, Fermo talmente fermo che talvolta animaletti possono camminargli addosso e il regista ci mostra anche quelli! Potrebbe anche fare un giro nel microscopico, non ci sorprenderebbe. Come non vedere in questo certe forme di Land Art? Questo film ne è intriso, imbevuto.
La zona è arte, bellezza, è l’uomo.
l’uomo finalmente liberato da tutti i vincoli terreni.
E come una divinità promette tutto e niente.
E’ lo specchio, dove riflettersi.
E come spesso accade non tutto quello che viene mostrato ci piace ma è…
Terribilmente bello, perché vero.