"L'area di Broca", XXX-XXXI, 78-79, 2003-2004
Cinema / video / TV
Luciano Valentini
Prima che sia troppo tardi
Era pomeriggio. Mi accorsi che erano soprattutto le persone anziane che mi guardavano: dovevo avere un’aria strana. Ma strano era anche l’ufficio in cui mi trovavo: aveva le pareti di vetro e la gente che camminava al di fuori, lungo le vie cittadine, era formata da strani esseri che sembravano muoversi come in un acquario. Ovunque c’era un’aria grigia, plumbea: forse stava per nevicare; faceva freddo.
Ero giunto lì per pagare il canone televisivo, il cui bollettino postale mi era giunto, come ogni anno, in una busta chiusa: ero da poco uscito dal lavoro ed ero stanchissimo.
La fila di persone davanti agli sportelli era molto lunga e scorreva lentamente: così avevo modo di osservare con curiosità gli strani tipi che mi circondavano.
Sulle pareti di vetro erano appesi grandi cartelli di cartoncino bristol bianco con alcune scritte eseguite con pennarelli neri e rossi; tali frasi così recitavano:
"UNA DEMOCRAZIA NON PUO' ESISTERE SE NON METTIAMO SOTTO CONTROLLO LA TELEVISIONE".
"PER UNA VITA VERAMENTE DEMOCRATICA, IL POTERE DELLA TELEVISIONE VA SCOPERTO ED ABBATTUTO PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI".
Ed ancora: "LA TELEVISIONE E' DISEDUCATIVA".
Quest’ultima frase mi colpì poiché avevo dedicato gran parte della mia vita all’educazione delle giovani generazioni, insegnando in diverse scuole. Riflettei: forse il concetto espresso era un po’ esagerato, ma aveva comunque un fondo di verità. Ma non ci pensai più di tanto: desideravo solo giungere al termine di quella lunghissima fila di strani esseri che mi sembravano poveri schiavi intenti a compiere un lavoro sgradito.
Quando finalmente uscii da quell’ufficio dalle pareti di vetro, mi fermai sul marciapiede, respirando profondamente quell’aria fredda e strana: mi sentivo sollevato e senza pensieri e incominciai a camminare a caso in mezzo a quell’immensa folla che mi circondava, guardando le vetrine dei negozi.
All’angolo di una strada in discesa, sotto l’insegna di una tabaccheria, vidi il mio amico Michele che stava osservando con interesse alcune pipe esposte. Egli era alto e magro, un poco ricurvo: era calvo, con la barba non rasata e portava gli occhiali da vista. Mi avvicinai e lo salutai, quasi gridando.
"Salve, come va?"
Si girò lentamente, e quando mi vide un’ombra di calmo stupore gli balenò negli occhi.
"Guarda chi si vede!..." esclamò, "Cosa fai di bello?"
Gli spiegai che ero andato all’ufficio postale per pagare il canone televisivo. L’amico emise uno sconsolato gemito.
"Anche tu!... anche tu, povero amico mio", mi disse con tono compassionevole.
Michele aveva fatto una scelta radicale nella propria vita: impiegato di banca, si era licenziato da alcuni anni ed aveva comprato una rustica casa in mezzo al bosco, vicino ad un fiume dalle correnti impetuose, nel quale sfociavano sorgenti d’acqua sulfurea e fumante; quel luogo aveva un aspetto vagamente infernale e lì Michele si era ritirato; viveva da solo, coltivando la terra ed allevando pecore, galline, conigli.
Aveva chiuso con il mondo moderno, almeno così affermava lui, poiché più niente dell’attuale civiltà lo interessava ormai. Soprattutto aveva rifiutato tutta la tecnologia dei "mass media", che per lui rappresentava una vera e propria violenza psicologica che devastava le coscienze, diffondendo una passività intellettuale mostruosa attraverso l’assopimento delle facoltà critiche e razionali e sostanzialmente negando la libertà di pensiero.
"Vedi", mi diceva il mio amico, mentre camminavamo lentamente verso il parcheggio dov’era la mia auto, "guardati intorno: viviamo in un mondo caotico e innaturale; occorre invece essere semplici e razionali e seguire le normali leggi della natura per cercare di capire; in questa confusione necessita un momento di chiarezza, una parola di verità".
La sua era una scelta suggerita dalla propria coerenza morale, perché per lui l’etica era sempre fondata su elementi naturali e razionali.
"Caro amico", proseguiva lentamente Michele, "oggi viviamo in un mondo di pazzi: so che dalla televisione, anche se non la voglio guardare, immagini truci di sangue e morte giungono dai diversi angoli del mondo, dove guerre insensate ancora si producono, stragi ed attentati, notizie di delitti efferati che sembrano perfino incredibili: la televisione riflette un mondo brutto e deprimente e lo amplifica in tal modo da provocare spesso l’emulazione di eventi criminali ed asociali".
Ero allibito dalle affermazioni di Michele, che tuttavia proseguiva con un atteggiamento così infervorato, che mi pareva perfino commovente.
"Vedi", diceva "oggi il ruolo dell’industria televisiva è quello del grande seduttore, che esercita le proprie funzioni attrattive attraverso lo stimolo delle tendenze irrazionali della mente umana e questo suo potere seduttivo s’insinua nelle pieghe della vita di tutti i giorni di ogni cittadino, che lo voglia o no…".
Eravamo arrivati alla fermata dei pullman, dove Michele di solito prendeva l’autobus che lo portava a casa. Ci fermammo: avevo voglia di parlare di argomenti più lieti e leggeri, ma tacevo, non sapevo cosa dire. Ci salutammo ed io proseguii verso la mia auto: ero abbastanza depresso, pensando alle parole di Michele, che indubbiamente esagerava ma che, nel suo candido fervore di filosofo rustico, affermava tuttavia con forza alcune indubitabili verità.
Ero triste per la sua pessimistica visione del mondo, che sembrava non dare adito a speranze: ma pensai anche che forse, per fortuna, non tutto era così come era stato descritto dal mio carissimo amico.
Rabbrividii: l’aria era sempre più fredda, il cielo plumbeo era opprimente come un coperchio di piombo e forse stava per nevicare.