"L'area di Broca", XXXI-XXXII, 80-81, 2004-2005
Numeri, numeri...
Mirko Servetti
Numerocrasia
sono-midbar
in pentateuco
numeri nella selva
che se tentati di coglierli
all’inizio dell’immaginato mondo
chiudono immagini e immaginazioni
divisi per altri
altri da sé
fino all’ebana araba lucenza
l’uno sinuoso verticale ossimoro
del principio e due
curva sul dorso che prelude
l’abbeverata all’oasi
puoi temerli se palindromi
e trovarli sensuali
nello specchio anonimo delle onde
3 e 4
non si contano
cabale per dire perfezione
e alephbet nel corpo
atteggiato a croce
delineante sistemi azimutali
visibili dalle distanze-zenit
lastricate da miliardi di granelli
quelli che il cristo moltiplicò
per i giorni adolescenti
con gioia e terrore
scandendo i 6/8
ridotti dunque in nitida metà
e la terra nei quattro punti
come una bocca senza redenzione
5 e 6
l’ora antelucana
in forma pentafonica
sembra spingermi di là del baratro
d’acqua finita
ma si va a ritroso
ché l’uno è fine d’inizio
un brusco semicerchio
interrompe l’angolo retto
ed ancora sei lune di percorso
in perenne altalena
7 e 8
le aquile marine hanno memoria
di ripartizione
distribuiscono battiti di remiganti
scudisciando l’aria
e tracciano beffarde labirinti
a candelabro senza mistica
ché non so se mai ebbi un padre
antico e futuro per enumerare
i passi d’affanno dietro i pensieri
perduti nel drama al centro
di sette crepuscoli
ancora un tono e si giunge all’ottava
che si presenta vorticante
in doppio zero due arabeschi senza limiti
9 e 0
Rivedo dopo l’ora nona quei segni pulsanti, neri e levigati che assumono goffaggine – a volte – imperdonabili nella loro inetta ferocia ad indossare abiti mondani, a seguire la logica dell’accumulo, del computo genocida, della connivenza statistica, dell’uso sconsiderato dell’immenso zero quale compiaciuto annullamento di culture, e quindi perennemente affaticati dal tormento del misurare, del fare e disfare, dalla punizione quasi invocata per questo stato di minorità e da uno smisurato orgoglio luciferino – al tempo stesso – portatore e diffusore involontario di luce cosmica, di bianco crudele e accecante. Al pari di noi non hanno memoria e una parte di ciò che mi sono abituato a definire "io" vorrebbe censurarli, relegandoli al delirio solipsistico; un’altra, aristocratica e animele, desidera lasciarli sfilare, confondersi ed essere essi, per l’ascolto dei tuoi occhi e per la pazienza delle tue mani.