"L'area di Broca", XXV-XXVI, 68-69, 1998-99
SCRITTURA
Peter Russell
Scrittura
Amici o estranei, giornalisti o intervistatori della televisione mi chiedono spesso perché io scrivo poesie. A volte la domanda mi è posta in modo affabile, altre volte in modo quasi aggressivo, una provocazione se non un rifiuto in anticipo.
All'antipatico interlocutore, rispondo con uguale atteggiamento distaccato che scrivo poesia perché voglio scrivere delle poesie. A questo punto la faccenda è risolta. A chi me lo chiedesse in modo gentile, darei la stessa risposta, cambiando tuttavia il tono di voce e l'intonazione dell'intera frase. Forse una risposta così secca e"terra-terra", avrebbe bisogno d'ulteriore elaborazione, voglio dire che si deve distinguere la parola POESIA, intesa in senso generale e universale, dalla poesia individuale. Tutti, sia uomini che donne, hanno almeno una volta colto la POESIA nel cielo stellato, in un bel paesaggio o in un volto bellissimo. Tantissimi, uomini e donne, specie nell'adolescenza hanno scritto qualcosa di poetico ispirato da queste cose, pochi tuttavia riescono a scrivere poesie degne di questo nome.
La prima volta che da bambino ascoltai le filastrocche di Mamma Oca e alcune notissime liriche, decisi che anch'io avrei dovuto fare cose simili. A quell'età non avevo pensato alla POESIA, volevo solo scrivere poesie. Il concetto di POESIA è molto complesso e va ben oltre la capacità d'intendimento di un bambino di cinque, sei anni.
A parte il bisogno ossessivo di scrivere poesie (artifici linguistici potremmo chiamarle), nel turbine fuggitivo della vita quotidiana, mi trovo costantemente a voler "fissare" le mie memorie, specialmente il mio modo di reagire alle situazioni, di osservare il mondo e la "vita", i miei studi e i sentimenti che li accompagnano, oppure scrivere dell'improvviso erompere dei sentimenti, del pensiero, della visione. E un po' come raccontare un'esperienza importante o un sogno o come "parlare al mondo". La poesia deve avere, o meglio evocare, un luogo fisico, un contesto, nel tempo e nello spazio, o andare al di là, come accade nel racconto, realistico o di finzione. La poesia è dunque una riorganizzazione del flusso della coscienza.
Talvolta la poesia nasce in un lampo, come una visione. Altre volte si fa pensando più o meno coerentemente, seguendo il fluire della coscienza, o anche catturando un pensiero che viene dal "nessun luogo".
Le poesie che scrivo sono spontanee, raramente costruite. Esse nascono dalle mie reali esperienze, veri ricordi, sogni fatti. In questo senso, un linguista o un sociologo potrebbero tranne una serie d'informazioni, anche se ciò li porterebbe fuori rotta. Ma oserei dire che allo stesso tempo esse comunicherebbero qualcosa che ho in comune con gli altri e insieme qualcosa che è completamente diverso da ciò che gli altri conoscono o possano aver provato.
Ma perché queste opere sono chiamate poesie e non aneddoti, descrizioni esplosive giaculatorie o sognanti ruminazioni?
Il fatto è che le poesie ambiscono essere comunicazioni suggestive e piene d'effetti, e usano tutte le possibilità implicite nella lingua e nella tradizione poetica da Omero ai giorni nostri. (Almeno per quanto si possa esserne padroni).
In questo modo possono davvero differenzirsi dai "best-sellers", dagli articoli dei giornali o dai vecchi diari.
Allora che cos'è che fa poesia di una poesia?
La poesia può cominciare con un'immagine, o semplicemente con una sola parola o con una frase. Un seme di senape non assomiglia molto ad un albero di senape, che s'innalza solitario con centinaia d'uccelli che cantano.
Il seme cresce secondo la sua forma innata. Non ho idea generalmente di che cosa parlerà una poesia che sta nascendo (cioè il contenuto). La poesia cresce come una pianta o un giovane animale. In questo senso è davvero produzione dell'inconscio, ma è tuttavia guidata e in parte prende forma, dal pensiero conscio, nello stesso modo in cui la creatura vivente è frutto della natura e dell'educazione.
Le poesie sono come i frattali, che prendono forma dalle parole, non dalla geometria.
Alcune poesie sono composizioni più consapevoli di altre. Alcuni miei sonetti, ad esempio, sono coscienti ruminazioni su chi sono e dove vado, per non dire dove dovrei andare, e sono anche governate dalle esigenze della rima e del metro. Altre nascono dalla voce interna che grida o meglio canta, non provenendo dal centro della coscienza, l'ego, ma dagli sconosciuti notturni oceani e dalle oscure foreste e dalle nuvole mutevoli di un regno sconosciuto, inconscio.
Queste sono le poesie delle Muse, per me i fatti e i ricordi più preziosi della mia vita.
L'uso di molte dubbie tecniche psicanalitiche può tracciare molte delle più sconcertanti immagini e incidenti nella poesia, ma, nota bene, la poesia, se è una vera poesia, rimane come unica, indistruttibile entità. Il critico post-strutturalista può decostruire la poesia e dimostrare d'essere superiore intellettualmente al poeta, persino se questi non esiste veramente. Il poeta può essere morto, ma la poesia rimane. Lo strutturalista è un pubblico-dipendente e appartiene alla corporazione dei critici o degli strutturalisti. Il poeta è autonomo e membro indipendente della società, non si sognerebbe mai di appartenere al sindacato dei poeti, parassita dei dipartimenti universitari e delle accademie d'arte.
Alcuni anni fa, quando lessi "Le poesie di Manuela" all'Università di Basilea, una gentile e informatissima signora si alzò in piedi e disse: "È ovvio che Manuela rappresenta la sua anima junghiana", convinta di aver detto una frase lapidaria sulle mie poesie. Non mi scomposi perché sapevo che le poesie esistono per conto loro, indipendentemente da ogni interpretazione, giusta o sbagliata che possa essere.
Mi piace pensare che le mie poesie siano un monumento vivente alla mia presenza breve e non sempre lodevole in questo mondo, non un cenotafio o mia tomba vuota. Si vive in un determinato e limitato periodo storico, ontologico e filogenetico, la durata della nostra vita si sviluppa nel corso della vita o nella storia della razza. Il tempo cui noi ci riferiamo è un tempo caduco.
Nella poesia invece noi mettiamo un tempo ed uno spazio qualità psico-spirituale.
Nientedimeno che l'Eternità!
Non riesco a spiegare perché tutto ciò è molto più complicato e meraviglioso e stupefacente e misterioso di quel che possa dire. Se il mondo non vuole ascoltare, non mi avvilisco.
Gli dei e gli angeli e i demoni, il dio Pan e Sileno e le ninfe e Apsara, ascoltano e cantano e amano. Dite pure che questa metafora è un mito, o un'illusione. È solo con le illusioni che noi catturiamo guizzi di verità, così scriveva Novalis. Quando si perdono le illusioni si è morti, inerti. Se si vive solo secondo i fatti come sembrano (i factoids, come si dice in Inglese) si diventa prigionieri delle tenebre e delle delusioni.
La convinzione dei supremo valore della Poesia, mi dà un'inebriante felicità, quasi una beatitudine. Il centinaio di persone, che sono corrispondenti e amici, condividono con me questa gioia. Sono casalinghe ed industriali, Principi e poveri, Ministri e carcerati, impiegati di banca e medici, e così via. Senza il loro aiuto e incoraggiamento io non nuscirei a sopravvivere fisicamente, né tantomeno spiritualmente. Quello che balza agli occhi è che nessuno di queste brave, intelligenti persone è un poeta o professore di lettere.
Da un punto di vista economico nella nostra illuminata società io sono una nullità, un deciso fallimento.
Il grande poeta e critico americano Dana Gioia, che io ammiro ed amo moltissimo, mi definisce "poeta da coterie". Lasciamo perdere. lo non appartengo ad alcun gruppo o consorteria.
Quello che è certo è che la soddisfazione che sento, dopo sessant'anni di scrittura, mi dà una gioia che nessuna ricchezza, fama, successo, potere potrebbe distruggere.
Credo che la POESIA sia la più sublime di tutte le esperienze possibili. È la completezza dell'anima. Non migliore o superiore alla musica, ma più completa perché consta di linguaggio.
(traduzione di Kiki Franceschi)